Associazioni di volontariato salesiane in Italia

Associazioni di Volontariato Salesiane in Italia. Origini e spiritualità.
di Don Ferdinando Colombo, già Presidente VIS.

INTRODUZIONE

Possiamo affermare che la nascita della stessa Congregazione Salesiana non è altro che la strutturazione giuridica e comunitaria delle scelte di volontariato del Fondatore e dei suoi primi collaboratori. L’interessamento per i ragazzi poveri ed emarginanti dell’ottocento è passato ben presto dalla commozione alla progettualità, dall’improvvisazione alla professionalità educativa, dal tempo libero al «tempo liberato» per essere totalmente disponibili al servizio: è nata così la Famiglia salesiana che ancora oggi sta operando una vastissima trasformazione sociale in 132 Paesi del mondo.

Il volontariato sociale, legato al territorio di appartenenza, si dilata irresistibilmente nel volontariato internazionale quando la motivazione dell’agire è la coscienza di avere una missione da svolgere e quando gli obiettivi sono valori umani che non conoscono frontiere.

Volontariato internazionale salesiano: quasi una storia

Nell’Italia salesiana degli anni ’60, nasce l’Operazione Mato Grosso (OMG) che attua una prima forma di volontariato con due caratteristiche molto precise che la collocano a cavallo tra il volontariato sociale e quello internazionale. L’obiettivo finale è l’aiuto ai poveri, quelli di casa nostra, ma superando i confini della propria nazione anche quelli di singole nazioni povere; infatti non è la dislocazione geografica, ma il grido dei più poveri a determinarne la diffusione. La seconda caratteristica è una componente di volontariato sociale perché i mezzi per aiutare i poveri devono provenire essenzialmente dal lavoro che gli aderenti fanno sul territorio nazionale. All’Operazione Mato Grosso è stato dedicato un altro capitolo di questo libro.

Sul finire degli anni ‘60 è proprio il Rettor Maggiore Don Luigi Ricceri che con scelta coraggiosa e profetica fonda il primo Organismo Non Governativo (ONG) salesiano italiano: Terra Nuova. Ai valori dell’Operazione Mato Grosso si aggiunge la progettualità, il cofinanziamento pubblico, ma soprattutto una collateralità con tutte le missioni salesiane. Ben presto però, Terra Nuova che non riesce a realizzare una autentica collaborazione tra consacrati e laici, è travolta dall’ideologia marxista e rinnega le sue origini, si stacca dalla Congregazione. Le dedicheremo un paragrafo specifico.

Proprio negli stessi anni, più modestamente, a Treviglio, Don Ferdinando Colombo dà origine agli Amici del Rwanda, che già nel titolo denunciano un’origine molto legata ad un caso particolare. E’ il passaggio dalle ideologie al partenariato: camminare insieme per liberarsi insieme. Questa ONG diventa il laboratorio salesiano in cui vengono concepite, sperimentate e consolidate le iniziative che ora costituiscono l’ossatura della Animazione Missionaria salesiana italiana: le esperienze formative estive, che oggi sono un cammino di educazione alla mondialità consolidato in tutte le ispettorie italiane e il «volontariato fuori legge» che mette l’accento sulla maturazione vocazionale del singolo volontario più che sul tecnico necessario per realizzare un progetto. Il cambiamento più significativo rispetto ad altre ONG, costituite da un piccolo gruppo pensante di persone tecnicamente preparate che studiano e realizzano progetti di sviluppo, è l’allargamento dell’associazione al maggior numero di persone mediante una capillare educazione alla mondialità e allo sviluppo. E’ così possibile allargare la base associativa e raggiungere il maggior numero di persone possibile motivandole alla solidarietà internazionale. Spinta dall’ampiarsi del suo raggio d’azione che spazia dal Vietnam all’Argentina, il nome dell’associazione si trasforma in Amici dei Popoli.

E’ ancora un Rettor Maggiore, Don Egidio Viganò, a rilanciare orizzonti salesianamente più vasti: propone a tutta la congregazione la «frontiera Africa». Le ispettorie si mobilitano generosamente quanto a confratelli e a risorse finanziarie, ma i laici non sono pronti.

E’ per questo che nel 1986 Don Angelo Viganò, che in quel periodo è il Superiore di un territorio vasto e composito che veniva chiamato Ispettoria Centrale, raccoglie tutti i rappresentanti della Famiglia Salesiana (SDB, FMA, Cooperatori, Ex-allievi), ma anche amici e benefattori, e fonda il VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo: una Organizzazione Non Governativa che è sintesi matura di nuova sensibilità sociale, di apertura alla mondialità, di collaborazione tra laici e consacrati, di impegno educativo salesiano e di sviluppo umano.

Nel 1988 il fondatore degli Amici dei Popoli è chiamato alla presidenza del VIS per vivificarlo e animare la missionarietà salesiana italiana. Tutte le esperienze fatte dagli Amici dei Popoli vengono riproposte all’Animazione Missionaria delle singole Ispettorie italiane, che rispondono sempre più intensamente, ma con ritmi diversi e alterne vicende molto legate sia all’avvicendarsi degli Animatori ispettoriali, sia alle vicende geopolitiche delle nazioni povere gemellate.

Una serie di Esperienze Educative

Alla scuola dei poveri: l’esperienza estiva di formazione, per un mese, in gruppo, è un’iniziativa di Animazione Missionaria che progressivamente coinvolge tutte le Ispettorie Salesiane italiane, con la partecipazione di 250-300 giovani ogni anno provenienti da tutta Italia.

Per un mese e dopo una specifica preparazione, giovani maggiorenni e adulti si recano in una missione salesiana di un Paese Povero per conoscere una cultura diversa in un atteggiamento di comunione e di scambio di ricchezze.

L’esperienza è aperta a tutti coloro che condividono i valori e l’ispirazione cristiani perché la crescita nella fede è uno degli obiettivi che si vuole raggiungere. Non è importante la professione che si svolge in Italia (requisito invece indispensabile per il volontariato internazionale) quanto avere ottimo spirito di adattamento, capacità di vivere in gruppo e buon equilibrio psicofisico. Per un mese si immergono totalmente in un progetto a favore di altri dimenticando se stessi e vivendo in un ambiente “al limite del possibile” difficilmente sperimentabile nelle città italiane.

L’esperienza estiva non è un campo di lavoro, né un campo di volontariato. Si tratta invece di un viaggio di formazione che si propone una seria revisione di vita mediante la condivisione della vita della missione, il lavoro con i giovani, la preghiera quotidiana, l’analisi delle cause della povertà e del sottosviluppo e la conoscenza dei problemi della gente, in dialogo con gli operatori sociali, politici e pastorali del territorio.

La motivazione profonda che spinge a fare questa esperienza è un esame serio dell’impostazione della propria vita: la qualità delle scelte, i progetti di futuro, lo spessore della propria religiosità. La vita dei poveri, la loro dignità di persona umana evidenziata dalla mancanza di sovrastrutture, e, a volte, dalla mancanza del necessario, la loro capacità di ricominciare a lottare ogni giorno, operano un silenzioso quanto efficace giudizio sulle strutture che riteniamo indispensabili alla nostra vita. Naturale conseguenza è una verifica del quadro di valori a cui ispiriamo le nostre decisioni e l’acquisizione di una nuova mentalità per divenire operatori di pace e di sviluppo umano capaci di scelte operative coerenti con quanto si è conosciuto.

A piccoli gruppi ospitati dalle comunità salesiane missionarie, si inseriscono nell’animazione giovanile e nelle attività educative svolte negli oratori dei Paesi Poveri. Ai missionari è richiesto di far conoscere le realtà locali attraverso incontri con operatori sociosanitari, membri di organizzazioni della società civile, giornalisti, autorità ecc.

Ogni gruppo è di norma accompagnato da un sacerdote salesiano che guida i partecipanti a superare eventuali difficoltà o problemi di adattamento e di accettazione della realtà circostante. I costi (viaggio aereo, visto, assicurazione, alloggio, vaccinazioni) sono a carico del singolo partecipante.

Scuole di educazione alla Mondialità

L’esperienza estiva è la conclusione di un iter di formazione della durata di un anno circa.

Ogni comitato regionale del VIS organizza dei percorsi di formazione che hanno lo scopo di fornire una preparazione generale su tematiche come i diritti umani, la cooperazione allo sviluppo, la globalizzazione, la geopolitica, l’intercultura, il volontariato internazionale ecc. Nei mesi immediatamente precedenti la partenza, la formazione verterà inoltre sulla storia, geografia e cultura del Paese di destinazione e sull’apprendimento della lingua internazionale lì parlata. La conoscenza della lingua del posto, seppure non approfondita, è un elemento fondamentale per la riuscita dell’esperienza, permettendo il contatto e lo scambio reciproco. Tutto il periodo formativo viene svolto in gruppo in un cammino che è già di per sé esperienza educativa.

Harambée

“Harambée” e una parola kiswahili che significa “incontro, raduno festoso, comunità che si riunisce”. È la tappa finale del cammino di formazione iniziato con le scuole di educazione alla mondialità e proseguito con l’Esperienza estiva nei Paesi Poveri. Ogni anno a fine settembre, si radunano a Torino per due giorni di riflessione, le persone che hanno seguito questo cammino provenienti a tutta l’Italia Salesiana, per celebrare con gioia il loro impegno di abbattere ogni barriera tra Nord e Sud.

L’occasione è l’incontro con il Rettor Maggiore dei Salesiani a Torino Valdocco, dove Don Bosco nel 1875 diede inizio all’attività missionaria della Congregazione inviando i primi 11 missionari in Argentina.

In questa occasione avviene la consegna dei crocifissi missionari ai salesiani, ma anche ai volontari laici che hanno deciso di donare due anni della loro vita al servizio dello sviluppo umano e dell’annuncio del Vangelo nei Paesi poveri.

Il volontario

Al centro di tuta questa attività sta la persona del volontario. L’attività di formazione al volontariato è chiaramente mirata alla maturazione della persona, per renderla capace di prendere in mano la propria vita per decidere come spenderla. Acquista un valore prevalente la formazione sul campo: le conoscenze che man mano acquisisce sono legate all’analisi delle situazioni umane che si trova a vivere, ma anche alla metodologia educativa salesiana che sperimenta. Le conoscenze e gli approfondimenti di economia, geopolitica, antropologia sono elementi indispensabili del cammino di formazione permanente che accompagna le varie fasi del volontariato, ma altrettanto devono esserlo pedagogia, sociologia, psicologia.

Il cammino di fede personale e la vita pastorale della Comunità salesiana in cui vive il volontario, completano il cammino formativo e gli permettono di arrivare ad una sintesi che ne determina la personalità.

Riteniamo, tuttavia, che non si possa parlare di Volontariato salesiano nel senso che esista una tipologia differenziata e in qualche maniera determinata nelle sue linee fondamentali dalle peculiarità della vita salesiana. Ma si dovrebbe invece parlare di volontari con «caratteristiche salesiane»: questo ci apre in certo modo al dialogo adulto, al rispetto della personalità del volontario che aiuteremo a crescere nella sua individualità. Certamente gli proponiamo il quadro di valori che si ispira a Don Bosco, gli suggeriamo una metodologia che sgorga dal Sistema Preventivo, ma non lo catturiamo come «nostro». Anzi saremo gioiosamente sorpresi di scoprire che volontari che non provengono dai nostri ambienti o non lavorano con noi hanno «caratteristiche salesiane».

Da queste due considerazioni consegue un rapporto con il volontario che è di formazione liberante: lo aiutiamo a formarsi perché possa volare libero e scegliere la strada che il Signore gli indica. Siamo più preoccupati del tipo di personalità che ne scaturirà che non dell’aiuto immediato che può darci. La sua competenza professionale, che dovrà caratterizzare la sua vita anche dopo il servizio di volontariato, e la sua capacità di analisi, diagnosi, progettualità… davanti ai problemi di una folla immensa di giovani poveri, ci interessa almeno quanto la sua formazione religiosa e la capacità educativa.

Se, per dono di Dio, qualcuno di loro chiederà di farsi salesiano, la nostra gioia sarà di aver creato un uomo libero che decide di far dono della propria vita ai giovani poveri, consacrandosi nella vita religiosa come Don Bosco. Ma saremo altrettanto contenti di tutti quelli che avendo ricevuto una identica formazione sceglieranno di costruire il regno di Dio in mezzo ai giovani poveri consacrandosi nel matrimonio.

Terminologia riguardo ai volontari

Faccio riferimento alla lingua italiana e alla situazione culturale nella Chiesa italiana e negli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana.

Il forte movimento di volontari laici che negli ultimi 40 anni ha portato circa 17.000 adulti italiani a scegliere questo servizio almeno per due anni per mezzo degli Organismi di ispirazione cristiana è sempre chiamato da tutti «Servizio di Volontariato Internazionale svolto da laici di ispirazione cristiana» e le persone interessate sono state chiamate semplicemente «volontari internazionali».

Questo evidenzia il fatto che l’operatività di queste persone è finalizzata allo sviluppo umano, tramite progetti appositi, ma evidenzia anche il fatto che la motivazione di fondo che spinge al servizio è l’identità cristiana degli stessi volontari oltre che quella dell’organismo di cui fanno parte.

La Chiesa Italiana ha accettato questa dizione e ha riservato il termine «laicato missionario» a coloro che vengono inviati direttamente del Vescovo della loro diocesi, per una missione specificamente dichiarata di catechesi e annuncio diretto del Vangelo, in appoggio alle Chiese locali, a volte con la caratteristica di essere accoliti, ministri dell’Eucaristia, diaconi permanenti.

Nella prassi salesiana italiana dal 1988 ad oggi, abbiamo sempre fatto la medesima scelta e abbiamo chiamato semplicemente «volontari, oppure volontari internazionali, oppure volontari laici» per coloro che si recavano nelle missioni, che affiancavano il lavoro delle comunità missionarie.

1. Il VOLONTARIATO

Premessa

Prima di parlare di Volontariato Internazionale, è opportuno fornire un quadro più generale del Volontariato, che meglio ci aiuti a comprendere questo vasto fenomeno nella sua interezza e complessità.

Il Volontariato è un fenomeno complesso che indica e coinvolge ad un tempo l’interiorità della persona, intesa come valore culturale e motivazionale che sottostà alla scelta di impegnarsi; l’operatività, intesa come comportamento che implica una interazione sociale; e una struttura, cioè un organismo che sostiene e coordina le attività.

Per questo la genesi della decisione di fare volontariato è stimolata da diversi fattori: dall’informazione, dai vincoli sociali e dai mezzi di trasporto.

L’informazione crea l’attenzione, la motivazione, il contatto, orienta gli interessi; in definitiva determina la cultura e fornisce alla coscienza gli elementi decisionali.

I vincoli sociali, come la famiglia, i doveri parentali, il posto di lavoro, gli incarichi pubblici, indirizzano e limitano il settore di intervento.

Ma, anche storicamente i mezzi di trasporto, con le loro caratteristiche di velocità e di costo, hanno condizionato il suo raggio d’azione. Si può così operare una prima grande suddivisione: volontariato sociale, realizzato sul territorio di appartenenza, e volontariato internazionale, normalmente diretto verso i Paesi Poveri caratterizzati da carenze strutturali generalizzate.

In ogni caso il volontariato nasce dal senso di solidarietà di singoli che decidono di mettersi al servizio della comunità al fine di promuovere la trasformazione della società, contribuire a rimuovere le cause che generano povertà e ingiustizia, dedicando attenzione prioritaria ai poveri, agli emarginati, o comunque a persone che vivono situazioni in cui non possono esprimere pienamente i loro diritti umani.

Volontariato sociale

Oggi si sente sempre più spesso parlare di Volontariato, dai mass media ma soprattutto tra i giovani, e l’idea che immediatamente ne riceviamo e che principalmente permea l’immaginario collettivo è quella di persone che sono spinte a fare attività di volontariato per sentirsi utili e dare un senso più completo alle proprie giornate. Si identifica, cioè, il Volontariato con l’impegno spontaneo di svolgere attività sociali disinteressatamente per collaborare a risolvere problemi in un settore di disagio sociale; la genericità del linguaggio comune identifica il Volontariato persino con attività che sono realizzate occasionalmente, sporadicamente, e talvolta senza una vera e propria progettualità.

E’ pertanto opportuno definire il volontariato ed effettuare una chiara distinzione tra Volontariato Sociale (V.S.) e Internazionale (V.I.).

Ritorneremo successivamente sul V.I. che appunto è un servizio di volontariato prestato in un Paese diverso da quello di appartenenza, nei Paesi Poveri, che ha caratteristiche sostanzialmente diverse da quello sociale.

Il Volontariato Sociale è quello che viene svolto invece sul territorio d’appartenenza e che proprio per questo è consentito a chiunque riesca a farlo convivere con i propri impegni, la propria famiglia e compatibilmente con le situazioni ambientali. Normalmente si tratta di impegno limitato nel tempo e realizzato nei momenti liberi, dopo i consueti orari di lavoro o di studio, cioè dopo aver adempiuto i propri doveri civili e di stato.

Attualmente sono milioni i cittadini che svolgono per un certo numero di ore settimanali questo servizio nei più disparati settori di disagio sociale. Il sistema economico dominante tende a degradare la qualità della vita, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. Anche in Paesi ad alto reddito cresce la folla dei poveri. Pertanto, il Volontariato Sociale che nasce istintivamente per assistere i più deboli si propone come modo nuovo per costruire i rapporti e le relazioni all’interno di una società che voglia assumere pienamente i suoi compiti sociali

Questo servizio, svolto, come abbiamo detto, sul proprio territorio e a tempo parziale, potrebbe essere definito come una collaborazione al volontariato: l’azione volontaria è allora la somma di tanti contributi indirizzati ad un’unica causa.

Nel volontariato sociale risalta in modo significativo l’azione realizzata con il contributo, anche parziale, di molte persone. Questa sinergia di privati cittadini e di libere associazioni è componente costitutiva di una moderna democrazia: è una delle forme con cui il cittadino partecipa alla vita sociale per «essere di più» (senso della vita); per «contare di più» (partecipare e influenzare); per «risolvere meglio» (qualità della vita ed eliminazione di sperequazioni).

Il Volontariato Sociale è tale solo se realizza una dimensione politica impegnandosi contestualmente nell’intervento immediato e nella rimozione delle cause personali e strutturali, nella promozione di nuove politiche sociali al servizio di tutti, con prestazioni prioritarie per i soggetti a rischio. Il fine del volontariato è il mutamento della società e delle istituzioni attraverso la partecipazione attiva. Un servizio ripetitivo, funzionale al sistema, non è certo compito del volontariato.

Nella capacità del volontariato di creare il nuovo, di dare un contributo essenziale alla qualità della vita, di impegnarsi per eliminare le cause di emarginazione è insito il concetto di sviluppo umano.

“Il Volontariato sociale è ormai parte rilevante di quel ‘terzo sistema’ che, accanto al mondo delle istituzioni pubbliche e delle attività private, ripropone la società civile, quella dei cittadini liberamente associati, come elemento fondamentale di una solidale prospettiva comunitaria, di una nuova cultura politica” (Federazione Italiana Volontariato).

Terzo Settore

Dalle forme più semplici di V.S. si è passati, negli anni ottanta ad una rete fittissima di iniziative e di coordinamenti. Ma è negli anni novanta che si va costituendo il Forum del Terzo Settore inteso come una forma di partecipazione popolare della società civile alla creazione di strutture democratiche di gestione del welfare.

La vasta realtà non profit costituita da organizzazioni senza scopo di lucro che permettono ai liberi cittadini di svolgere attività di volontariato è oggi comunemente denominata Terzo Settore.

Il Terzo Settore è infatti il campo dei soggetti sociali (associazioni e movimenti organizzati) che si occupano di volontariato e associazionismo, di cooperazione sociale e di imprese di solidarietà, di società di mutuo soccorso e di volontariato internazionale per lo sviluppo, di commercio equo e solidale, di fondazioni e di banche etiche, tutte con lo scopo “di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitaari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate” (Legge 381 dell’8 novembre 1991, art. 1).

Questi soggetti interpretano l’impegno della cittadinanza organizzata nei più diversi ambiti: assistenziale e di solidarietà, educativo e preventivo, formativo e scolastico, ambientale e sanitario, del tempo libero e della cultura…

Il TS sta così diventando uno dei soggetti portanti dell’economia sociale, che rappresenta la nuova strategia dello sviluppo sostenibile ed è una forma di regolazione democratica del mercato. La società civile è così chiamata ad essere protagonista a pieno titolo nella costruzione del nuovo modello di società.

Si tratta di “associazionismo di cittadinanza” (Passuello) o di “intrapresa di solidarietà” (Dahrendorf), che agendo in forma stabile e regolata sa produrre servizi, iniziative ed opere in vista del bene comune senza tornaconto personale.

Alla richiesta che viene da più parti, specie dalla destra liberale, e cioè “più mercato e meno Stato”, sembra si debba contrapporre una più autentica “socialità del sociale” che sappia esaltare le capacità concrete di autogoverno dei soggetti collettivi; “la via d’uscita dall’attuale crisi di società deve essere ricercata al tempo stesso in meno mercato, meno Stato e più scambi non retti né dal denaro né dall’amministrazione, ma fondati su reti di aiuto reciproco, di cooperazione volontaria, di solidarietà autorganizzata: il rafforzamento della società civile, se si vuole” (Andrè Gorz).

Il terzo settore si impegna in tal modo da protagonista nella trasformazione della realtà sociale, in ogni ambito di sviluppo umano e contro ogni forma di esclusione sociale, in un superamento della logica statalistica e assistenzialistica e, allo stesso tempo, evitando di cadere in quella economicistica e funzionale. Si tratta di organizzazioni il cui fine ultimo è la solidarietà anziché il profitto e che accettano la sfida rappresentata da carenze sociali di vario genere, garantendo una risposta che, nel tempo, divenga sempre più attenta ed efficace.

Le leggi italiane per il volontariato

Purtroppo non esiste una unica legge quadro per la regolamentazione delle attività di volontariato e per necessità, vista la varietà degli interventi e di tipologie di V. sono state fatte diverse leggi che governano il settore del Volontariato:

Così come esplicitato già nella legge sul volontariato n° 266 dell’11 agosto 1991, tale legittimazione giuridica è importante perché in tal modo si riconosce il valore sociale e la funzione delle attività di volontariato “come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo” (Art. 1.), e dunque è altrettanto importante promuoverne lo sviluppo e salvaguardarne l’autonomia, soprattutto in virtù dell’assenza di fini di lucro, della democraticità degli Organismi atti a tali attività e della gratuità delle prestazioni fornite dai volontari. Le leggi hanno rafforzato l’interesse delle organizzazioni di volontariato ad instaurare rapporti con il settore pubblico e tale interlocuzione con istituzioni ed enti locali è utile per una correzione della tendenziale autocentratura delle organizzazioni.

Il terzo settore è cresciuto perché il cittadino ha maggiore fiducia nella società e in se stesso, merito della maggiore stabilità politica e di una maggiore democraticità fornita delle suddette leggi, acquisendo, quindi, un ruolo sempre più attivo e non di supplenza nel disegnare le politiche istituzionali; in tal modo vive uno spazio di commistione tra stato e mercato, quale campo sperimentale di lavoro.

L’importanza del terzo settore sta appunto nella massima attenzione ai bisogni reali dei cittadini, specie dei più bisognosi, sia sotto il profilo economico e funzionale che culturale e formativo: ad essi è rivolto tutto l’impegno volontario e associato. La peculiarità di queste associazioni sta nella vicinanza alle persone nello svolgimento del servizio e nella dimensione locale, che rende possibile calibrare l’iniziativa con le attese reali delle persone sul territorio e verificare la qualità del servizio sulla misura di chi ne usufruisce: non per nulla oggi si parla di trasformazione del “welfare State” in “welfare municipale”, (Campedelli) per aumentare i rapporti fiduciari e facilitare logiche collaborative: la sussidiarietà non va confusa con l’organizzazione localistica degli egoismi, ma si esprime nella intensità delle relazioni, nella reciprocità e nell’impegno etico.

Volontariato internazionale

Il Volontariato Internazionale (V.I.) è appunto caratterizzato dalla decisione di lasciare la propria patria e di recarsi presso un’altro popolo per un periodo di tempo che, unitamene ad altre condizioni che esamineremo, consenta effettivamente di inserirsi nella cultura locale per realizzare insieme un progetto di sviluppo.

Il fatto di lasciare il proprio Paese comporta necessariamente che il tempo dedicato al volontariato sia totale dal momento della partenza a quello del rientro e comporta anche che vengano sospese le attività lavorative che permettevano all’interessato di avere un entrata finanziaria che gli consentivano di affrontare le spese necessarie per la casa, la vita, la famiglia.

Per questo il concetto di gratuità cambia totalmente: mentre nel V.S. significava l’assoluta rinuncia ad un compenso economico per le attività svolte, nel V.I. è il dono della professionalità, del tempo pieno, in una sola parola la dedizione della vita, che diventano segno di una donazione gratuita. Ma il volontario internazionale è parte di un tessuto umano che non vuole rinnegare: può avere con sé la famiglia, può avere un mutuo da pagare in Italia o altri impegni economici che deve rispettare; inoltre deve avere i mezzi per abitare, nutrirsi, vestirsi, per curare la propria salute, per vivere da persona sociale. Tutto questo comporta che debba ricevere uno stipendio sicuro e proporzionato.

Questa necessità di sicurezza economica ha determinato il sorgere di associazioni giuridicamente riconosciute o di fatto che con la loro organizzazione siano in grado di garantire al volontario i mezzi per vivere, ma soprattutto i finanziamenti realizzare i progetti di sviluppo in cui il volontario è inserito.

Proprio per questo le prime forme di volontariato internazionale, in mancanza di una normativa statale e di organizzazioni autonome, si sono appoggiate alle strutture ecclesiali delle Congregazioni religiose presenti nei Paesi Poveri e i volontari partivano senza essere garantiti da alcuna legge.

Volontariato Internazionale ai sensi della legge 49/87

Oggi quasi tutti gli Stati hanno una legislazione che riguarda il V.I.

La legge di riferimento italiana è attualmente la 49/87 che regolamenta la Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.

Partendo dal concetto di “cooperazione allo sviluppo” la legge, tra altri soggetti che hanno titolarità a cooperare, riconosce ad alcune associazioni di cittadini che abbiano particolari requisiti, l’idoneità “per la realizzazione di programmi di sviluppo nei Paesi in via di sviluppo; per la selezione, formazione e impiego dei volontari in servizio civile; per attività di formazione in loco di cittadini dei Paesi in via di sviluppo; per attività di informazione e di educazione allo sviluppo”. (art. 28). Queste associazioni idonee vengono chiamate Organizzazioni Non Governative, ONG. In Italia sono poco più di un centinaio ad avere questa idoneità.

La trafila indispensabile per poter svolgere il servizio di V.I. prevede dunque che una ONG idonea presenti agli uffici competenti del Ministero degli Affari Esteri (MAE) lo studio di un progetto di sviluppo nel quale sia prevista la figura di uno o più volontari con ruoli e compiti ben definiti.

L’approvazione del MAE, dopo tempi non ben definiti, e il successivo cofinanziamento dei costi di realizzazione, comprendono anche i volontari come sono descritti dal progetto.

E’ compito della ONG selezionare e formare persone che abbiano le caratteristiche richieste dal progetto e presentare la candidatura al MAE, che si riserva di verificarne la conformità con i requisiti richiesti.

La legge pone anche delle condizioni: cittadinanza italiana, maggiore età, idoneità psicofisica, formazione e la durata del contratto non inferiore a due anni.

Volontariato Internazionale “fuori-legge”

La legge 49/87 prevede quindi che il volontario sia inserito in un progetto presentato da una ONG riconosciuta idonea per la cooperazione allo sviluppo, ne stabilisce lo stipendio e le garanzie assicurative e previdenziali per il volontario. Ma questa strada è irta di difficoltà e solo poche centinaia di persone riescono ad accedere a questo volontariato internazionale secondo la legge.

Qualche migliaio di cittadini, invece, fa volontariato internazionale “fuori-legge”. Avendo maturato la scelta cosciente di mettere la loro professionalità al servizio dello sviluppo umano dei Popoli Poveri e avendo deciso di spendere gratuitamente alcuni anni della propria vita accettano di essere inviati e sostenuti da gruppi e comunità che li hanno “adottati” come segno concreto di solidarietà con i Paesi Poveri. In tal caso, detti gruppi o comunità mantengono un rapporto di collaborazione con i volontari inviati, sostenendo anche le spese di viaggio, assicurazione, contributi sociali; infine li aiutano a reinserirsi nel mercato del lavoro, al loro rientro.

Il cuore del discorso è la dimensione mondiale del volontariato internazionale, in virtù della quale una comunità, o un Organismo, sceglie alcune persone da mettere al servizio degli ultimi, dei più bisognosi. Da parte sua il volontario, sentendosi “inviato” dovrà mantenere i contatti con la comunità di partenza divenendo quel “ponte umano” che permette ad ambedue le comunità di scambiarsi ricchezze materiali, spirituali, educative, per cui si avvera quanto si afferma in RM 58: “Promuovere lo sviluppo educando le coscienze”. In ambito di Chiesa, ogni parrocchia, oratorio, gruppo, dovrebbe avere come primo impegno missionario l’invio di un volontario. Come la presenza del missionario è fondamentale per la nascita e la crescita di una nuova comunità cristiana, così un volontario che parte a nome di una comunità è determinante per un autentico spirito missionario che non riduca la solidarietà a soldi o container. “E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica” (RM 58).

2. PRINCIPI ISPIRATORI DEL VOLONTARIATO SALESIANO

Premesse

Il Volontariato è un fenomeno complesso che indica e coinvolge ad un tempo tre fattori: l’interiorità della persona, intesa come valore culturale e motivazionale che sottostà alla scelta di impegnarsi; l’operatività, intesa come comportamento che implica una interazione sociale; e una struttura operativa, cioè un organismo che sostiene e coordina le attività.

In ogni caso il volontariato nasce dalla coscienza di un dovere di solidarietà di singoli che decidono di mettersi al servizio della comunità al fine di promuovere la trasformazione della società, contribuire a rimuovere le cause che generano povertà, ingiustizia, situazioni di emergenza, dedicando attenzione prioritaria ai poveri, agli emarginati, o comunque a persone che vivono situazioni in cui non possono esprimere pienamente i loro diritti umani.

Il Volontariato sociale è quello che viene svolto sul territorio d’appartenenza e che proprio per questo è consentito a chiunque riesca a farlo convivere con i propri impegni, la propria famiglia e compatibilmente con le situazioni ambientali. Normalmente si tratta di impegno limitato nel tempo e realizzato nei momenti liberi, dopo i consueti orari di lavoro o di studio.

Questa sinergia di privati cittadini e di libere associazioni è componente costitutiva di una moderna democrazia: è una delle forme con cui il cittadino partecipa alla vita sociale per «essere di più» (senso della vita); per «contare di più» (partecipare e influenzare); per «risolvere meglio» (qualità della vita ed eliminazione di sperequazioni).

Il Volontariato Sociale è tale solo se realizza una dimensione politica impegnandosi contestualmente nell’intervento immediato e nella rimozione delle cause personali e strutturali, nella promozione di nuove politiche sociali al servizio di tutti, con prestazioni prioritarie per i soggetti a rischio. Il fine del volontariato è il mutamento della società e delle istituzioni attraverso la partecipazione attiva. Un servizio ripetitivo, funzionale al sistema, non è certo compito del volontariato. Nella capacità del volontariato di creare il nuovo, di dare un contributo essenziale alla qualità della vita, di impegnarsi per eliminare le cause di emarginazione è insito il concetto di sviluppo umano.

Il Volontariato Internazionale (V.I.) è caratterizzato dalla decisione di lasciare la propria patria e di recarsi presso un altro popolo per un periodo di tempo che, unitamene ad altre condizioni che esamineremo, consenta effettivamente di inserirsi nella cultura locale per realizzare insieme un progetto di sviluppo.

Concettualmente e spiritualmente, il volontariato internazionale è una forma, per così dire, più matura di volontariato, che comporta un maggiore impegno, forti motivazioni e precisi obiettivi e che presuppone una seria e precisa progettualità di intervento e la presenza di un Organismo in grado di rispondere alle esigenze sia dei destinatari dell’intervento, che dei volontari inviati.

La scelta di fare il volontario, anche se è limitata ad alcuni anni, è comunque una scelta di vita in senso totale. Questo induce a considerarla una vocazione precisa perché l’atteggiamento interiore di donazione è votato al servizio senza condizioni. Lo sforzo di inculturarsi, l’apprendimento della lingua del posto, l’impegno per il dialogo, la valorizzazione delle caratteristiche del popolo presso cui lavora, sono e devono essere il segno della scelta di un cammino umano che privilegia il rapporto interpersonale e tende a trasformare le strutture che generano ingiustizia e violenza; così il volontario è operatore di pace.

Dal profondo del cuore e da una preparazione seria

Il volontario deve possedere caratteristiche ben definite per svolgere questo compito. Anzitutto la maturità umana e l’equilibrio psico-affettivo, poi una professionalità specifica, utile allo sviluppo della comunità in cui svolgerà il suo servizio.

Il volontariato richiama normalmente un’idea di azione, di laboriosità, di efficienza. Questo è vero, ma è solo la punta di un iceberg. Quando il volontariato è “vero”, la sua parte sostanziale è nelle sue profonde convinzioni che costituiscono la coscienza di una persona, prima e al di sopra di situazioni contingenti.

Essere volontario è una virtù interiore e come tale va seminata, fatta crescere, esige delle scelte costose, progressive, esige un itinerario educativo, delle tappe, delle verifiche. Il volontariato che ci fa “adulti” è l’atteggiamento interiore che diventa progressivamente stile di vita concreta con cui una persona decide che la sua realizzazione, il finalismo della sua esistenza e, in definitiva, la sua maturità trova pienezza nell’essere disponibile ai bisogni altrui”.

L’elemento determinante è “possedere e guidare la propria vita”, decidere dal profondo le proprie scelte; il quadro dei valori, delle motivazioni deve precedere, almeno come logica, quello dell’incontro con le persone, delle emozioni; le situazioni di necessità dell’“altro”, del povero, non devono essere il movente delle nostre decisioni, ma semplicemente l’occasione dell’impatto concreto. In fondo un volontario non è tale quando “parte” e perché parte, ma lo è per la tensione che unifica tutta la sua vita, ovunque si trovi.

Una caratterizzazione del Volontariato Internazionale è la progettualità per lo sviluppo che suppone competenza professionale e l’inserimento in una struttura organizzata capace di dare continuità nel tempo per gli interessati e serietà di analisi per i problemi.

Il volontario che decide di partire per una missione internazionale mette la propria professionalità, la propria cultura e la propria vita a servizio della crescita di altri popoli; perciò si richiede una specifica professionalità che costituisca la base di un rapporto costruttivo con la cultura “altra”; rapporto per il quale è necessario che il volontario “esca” letteralmente dal proprio mondo, dal sistema valoriale della propria cultura per conoscere e comprendere l’“altro”.

Il volontario, ponte culturale

Abbiamo definito il Volontariato Internazionale “ponte culturale” e tale definizione comprende diversi aspetti. Certamente il volontario è un vero e proprio ambasciatore dell’Organismo che lo invia, un tramite ed uno strumento per la realizzazione di un progetto; il mediatore ed il collegamento tra due culture a volte molto distanti tra loro non solo geograficamente. La sua stessa funzione di svolgere un compito preciso e un determinato servizio che corrisponde alla sua professionalità, esige come condizione di efficacia che si impegni a comprendere realtà e cultura locali, a farsi portavoce dei poveri e loro interprete nel proprio Paese.

Questa mediazione fa sì che il progetto abbia un risvolto anche nei cosiddetti Paesi Ricchi, i Paesi promotori; un risvolto educativo interculturale che permette ai vari Organismi di elaborare progetti sempre più mirati e corrispondenti alle effettive esigenze dei Paesi Poveri. E’ chiaro che, in questi termini, il volontario non è un semplice collaboratore, un tecnico, un dipendente, ma un anello di congiunzione culturale e spirituale tra due mondi, due realtà, un ponte di collegamento “umano” che rende progetti e finanziamenti altrettanto “umani”; una persona che decide di condividere e regalare una parte consistente della propria vita a persone che vivono in situazioni di grave disagio.

Essere volontario è più uno stile di vita che una specifica attività, e la sua caratteristica principale è il coinvolgimento personale, profondo e progressivo in uno stile di condivisione e di servizio. Ne scaturisce una personalità “solidale”, in linea di principio, con tutte le persone del mondo, e concretamente impegnata in un servizio locale.

La gratuità, come attitudine ad una amore altruistico e disinteressato, come tendenza a dimenticarsi di sé per il bene degli altri, dovrebbe caratterizzare la vita del volontario. In un certo senso si richiede al volontario in particolare una maturità (ben distinta da quella intellettuale e fisica), maturità interiore, che è indispensabile a qualunque scelta che leghi la vita di un individuo ad altre persone in modo stabile e duraturo. Per questo un cammino serio di volontariato trasforma le dinamiche della vita: le scelte professionali. vissute come vocazione a servizio dei bisogni della gente; le scelte politiche, vissute come strumento necessario perché ogni individuo possa essere in grado di “possedere” la propria vita; le scelte lavorative per cui si rinuncia ad un maggior profitto per un più autentico servizio alle persone e ai gruppi; la scelta del matrimonio o vita consacrata che diventa partecipazione alla paternità di Dio e attuazione storica del Suo regno.

Gli “altri”, in particolare gli “ultimi”, divengono protagonisti della nostra vita, in quanto siamo noi stessi che decidiamo di rispondere alle domande fondamentali: “chi sono io, perché sono al mondo, a cosa serve la vita, ecc.” proprio a partire da questa nuova visione unitaria per cui la dignità dei poveri è anche la nostra, la loro realizzazione è necessaria per la nostra. Così uomo, vita, giustizia, comunità, ecc. vengono ricompresi, ridefiniti, ristrutturati a partire dagli ultimi per costruire una vita dignitosa per tutti.

Lettura cristiana del volontariato internazionale

Alla luce di quanto detto finora, non è improprio parlare di una vera e propria vocazione al volontariato, intesa nel senso che tale decisone si può considerare un dono di Dio che fa percepire non solo la scelta del volontariato, ma tutta la vita, come una vocazione. I volontari realizzano multiformi testimonianze di solidarietà, servizio e condivisione con i più deboli, nella loro gratuità e apertura disinteressata. Quando questo avviene in forza dell’ispirazione cristiana e dell’appartenenza alla Comunità o agli enti ecclesiali, questo stile di vita si mostra oggi “come via privilegiata per aggregare coloro che, senza esserne pienamente consapevoli, con le loro scelte di vita sono orientati a dire di sì al Dio di Gesù Cristo” (ETC 9).

Come esplicitato nella Christifideles laici, se la vocazione del battezzato è “vivere il Vangelo servendo la persona e la società”, allora, proprio nell’attività del volontariato, facendosi serva degli uomini, la comunità cristiana accoglie e annuncia il Vangelo nella forza dello Spirito.

La Christifideles laici indica con precisione i campi in cui il laico cristiano dovrebbe portare il suo servizio e che coincidono largamente con i compiti del volontario: promuovere la dignità della persona; venerare l’inviolabile diritto alla vita; libertà di invocare il Nome del Signore; l’impegno sociale; sostegno della solidarietà; porre l’uomo al centro della vita economico-sociale; evangelizzare la cultura e le culture dell’uomo (ChL 36-44).

“Si deve parlare di volontariato lì dove c’è una tensione continua alla ricerca del bene per l’altro, dove l’altro non è più solo il singolo ma la comunità; si parla di volontariato lì dove c’è un’attenzione e una libertà di pensiero che permette di leggere i reali bisogni, che permette di essere anticipatori di idee, di servizi, di interventi; che permette di essere degli sperimentatori, che permette di andare oltre e sopra gli interessi locali dei singoli per occuparsi di qualcosa di “altro”; si deve parlare di volontariato lì dove si incontrano persone al passo con i tempi, che non hanno paura di cambiare, di trasformare e mettere in gioco le proprie vite ed il proprio essere per una scelta” (Francesca Busnelli, Rivista del Volontariato, marzo 1999).

3. TERRA NUOVA (dagli appunti di Don Carlo Filippini)

L’idea

Don Antonino Valastro, docente di sociologia allo studentato teologico salesiano di Salerno, nel 1968 si presenta al Rettor Maggiore Don Luigi Ricceri con la proposta di fondare una comunità di SDB e laici in Vietnam, come testimonianza e partecipazione al difficile momento di quella nazione. Dopo attenta riflessione, anche a livello di Consiglio Generale, don Ricceri gli dice che non sembrano maturi i tempi per una simile iniziativa; non so quanto tempo dopo, gli fa invece la proposta di aprire un Centro di informazione-formazione per giovani che intendono svolgere opera di volontariato nei paesi in via di sviluppo, con un’attenzione particolare verso coloro che rifiutano il servizio militare e chiedono di sostituirlo col servizio civile.

In Italia non esisteva ancora la obiezione di coscienza; chi l’avanzava sovente finiva in carcere a Gaeta. Era in atto una vera battaglia politica per ottenerla, come già avveniva in altri paesi europei. Soprattutto i radicali erano impegnati. Don Luigi Zulian ricorda: “Già nei primi mesi del nostro lavoro, don Antonino mi portò a far conoscenza con i radicali, che avevano la loro sede in una via presso Sant’Andrea della Valle. Don Antonino era assiduo frequentatore di quegli ambienti, impegnandosi nelle stesse battaglie”.

Il giovane che rifiutava il militare si rivolgeva al Ministero della Difesa per ottenerne la sostituzione con due anni di servizio civile nel Terzo Mondo, dove doveva recarsi entro sei mesi dall’arrivo della cartolina, la chiamata di leva. Fra chiamata e partenza intercorreva dunque un periodo da dedicare opportunamente alla preparazione. Il Ministero stesso richiedeva questa preparazione, ma non aveva creato nessun organismo che vi provvedesse. Molte Congregazioni, particolarmente impegnate con missioni nel terzo mondo, vi scoprirono l’opportunità di presentare, preparare e inviare giovani, magari già vicini alle loro opere, in aiuto a confratelli da anni in missione. Non era difficile, in questo vuoto di strutture, ottenere approvazione ministeriale e anche opportuni sussidi.

Don Antonino accettò la proposta, chiese però un anno di tempo per vedere quanto succedeva negli altri paesi europei, dove la pratica del volontariato sostitutivo era in atto da anni.

Insieme a Don Luigi Zulian, Don Valastro visitò Belgio, Germania, Olanda, Francia, per rendersi conto delle occorrenze per avviare il Centro. Al termine del periodo di studio, Don Antonino e Don Gigi diedero l’avvio all’attuazione del centro.

Come luogo operativo ebbero la disponibilità della palazzina rossa e vicina
cappella, che si incontrano entrando nel recinto delle Catacombe di San Callisto, dal cancello della via Appia Antica, donde si diparte la via Ardeatina: Il Centro fu chiamato TERRA NUOVA: un nome suggerito da un grande amico di Don Valastro, (don) Giulio Girardi, che da poco aveva lasciato la Congregazione e la Chiesa.

TERRA NUOVA per indicare che l’impegno dei partecipanti voleva essere quello di collaborare per la nascita di un mondo diverso da quello in cui erano capitati a vivere.
L’indirizzo era Via Appia Antica, 78 – 00179 Roma. (Attualmente vi risiede la Federazione nazionale CNOS-FAP).

I confratelli addetti al Centro avrebbero fatto parte della Comunità delle guide delle Catacombe, allora dipendente dalla Ispettoria Centrale, con sede a Torino-Valdocco.

Finalità

Impegno del Centro TN: accogliere, informare, selezionare, preparare i giovani, che intendevano svolgere volontariato e quelli che, avendo ricevuto la chiamata di leva, chiedevano al Ministero Leva-Dife di sostituire il servizio militare con il servizio civile. Corrispettivamente il centro si impegnava a studiare progetti e collocazioni, approvate dal Ministero degli Esteri, dove i giovani si sarebbero inseriti.

Al centro di TERRA NUOVA cominciarono ad arrivare giovani indirizzati dal Ministero, con la preponderante intenzione di evitare il servizio militare. Ben meno evidente l’intento del servizio a paesi bisognosi. Gradualmente TN si andò organizzando. per rispondere.

Primi colloqui

Nei giovani traspariva evidente, particolarmente all’inizio, una chiara voglia di fuga dal servizio militare, visto come cosa inutile, tempo perso, insopportabile nelle sue esigenze. Ma c’erano anche, neppure troppo nascosti; desideri di liberarsi di una famiglia opprimente, che controllava troppo, non permetteva libertà; genitori che non capivano, antiquati, liberarsi da un paese di contrasti, di confusione, senza prospettive. Fuga da una “civiltà” disgustosa e ingiusta. Forse sette su dieci giovani che approdavano a TN pensavano di cambiar aria nella illusione di respirare meglio altrove.

Poi, a mano a mano che i colloqui procedevano, emergevano anche disponibilità sane, altruiste, di servizio. E’ da ricordare che, quasi fin dall’inizio, il centro non è rimasto esclusivamente per i giovani di leva, ma si è aperto anche a chi il militare già l’aveva fatto e a ragazze desiderose di impegnarsi nel servizio a gente bisognosa, sempre nel terzo mondo”.

Inizialmente i colloqui erano intrattenuti quasi esclusivamente con Don Antonino, molto capace di comprensione, di tolleranza, di interrogativi esistenziali. Creava clima di sincerità, apertura e fiducia.

Ricorda don Zulian:”I rapporti con i giovani, anche se nella quasi totalità molto di sinistra, erano cordialissimi:ognuno rispettava l’idea dell’altro. Non ricordo che ci siano stati mai scontri di religione. Da notare che molti provenivano da ambienti cattolici, dove però avevano fatto esperienze negative o perché avevano incontrato gente (preti) molto pia, ma poco o per nulla sensibili ai problemi sociali (povertà), o perché (pochissimi, ma ce ne sono stati), vittime di qualche abuso”.

Don Antonino, e tutto il clima del Centro, tendevano quasi a nascondere la radice salesiana, religiosa e sacerdotale. Molti facevano anche più colloqui prima di capire che Antonino era “Don”; e quando ci arrivavano, erano già tanto conquistati da ritenere che, se anche Don, era certamente diverso da quanto pensavano della Chiesa e dei preti.

Non dimentichiamo i tempi: di contestazioni di sacerdoti con la gerarchia: Lutte, Franzoni, Sandrelli, Girardi, Mazzi… Tutti nomi che ricorrevano molto facilmente, e come esemplari, nelle chiacchiere del Centro.

La grande maggioranza dei giovani di estrazione parrocchiale, dopo tre quattro incontri, non tornava più, non trovando corrispondenza alla carica evangelica che li aveva spinti per il servizio a fratelli bisognosi.

Qualcuno ha resistito; è partito e ha fatto anche molto bene il suo servizio. Non posso non ricordare subito qui la vicenda di Francesco Zaratti: exallievo salesiano di Frascati-VillaSora, membro della comunità parrocchiale a Rocca Priora, è partito per la Bolivia, per dare una mano a don Pascual Cerchi, a ElAlto di La Paz (4.200 m). E’ tuttora lassù ed è diventato personalità di spicco in campo scientifico, economico e politico. Ne ripaleremo più avanti.

Corsi di preparazione

La stampa salesiana diffuse la notizia dell’iniziativa. Fu distribuito, soprattutto nelle nostre scuole superiori, nelle nostre parrocchie e oratori, un dépliant che faceva conoscere l’iniziativa e dava tutte le informazioni necessarie per approfittarne.

TN fu tra i primi organismi di volontariato riconosciuti, da apposito decreto legge, idonei a informare, selezionare, inviare giovani per il servizio alternativo nel terzo mondo
Allo scopo vennero allestiti corsi di preparazione. Si svolgevano tutti presso la sede di TN e avevano diverse modalità, commisurate alla disponibilità dei richiedenti e dei docenti: week-end successivi; settimane residenziali, mese residenziale in estate… Ci fu anche un tentativo di corso per corrispondenza, almeno per la parte iniziale di conoscenza del problema. Nel primo colloquio si accertavano dati personali, attitudini, qualifiche, desideri del candidato.

Ci si intendeva sulla disponibilità alla frequenza dei corsi, che, per quelli chiamati al servizio militare, dovevano necessariamente svolgersi nei sei mesi dalla chiamata alla data di partenza per la leva.

Nel novembre del ‘69 fu avviata la prima iniziativa di TN: un “Corso per promotori dello sviluppo”, in due formule: residenziale, presso il centro alle Catacombe e per corrispondenza. Al corso parteciparono anche giovani confratelli in procinto di patire missionari per l’America Latina.

Tale corso fu organizzato in collaborazione con un esperto consigliato da
alcuni superiori salesiani, il professor Lodigensky . Ma intenzioni e comportamento ditale persona apparvero ben presto totalmente incompatibili con le finalità di TN; si disse perfino che era un membro della CIA, impegnato a propagandare pratiche per il controllo delle nascite! Verità o leggenda, l’uomo scomparve e nessuno seppe più nulla di lui.
Fu un flop clamoroso, che, comunque, fece capire la importanza e delicatezza del problema dei docenti.

I Docenti: un problema serio e determinante

Chi incontravano i giovani che venivano a TN?

C’era Antonino Valastro, con la sua calda umanità, il suo entusiasmo, la sua preparazione psico-sociologica. Per una prima panoramica informativa, anche da un punto di vista burocratico, poteva bastare. Ipotizzava sogni, dava incentivi di riflessione, prospettava difficoltà… Ma quando si trattò di allestire i corsi, il problema dei docenti si fece subito molto serio e di difficile soluzione.

Furono contattati anzitutto professori dell’Ateneo Salesiano, alcuni suggeriti dagli stessi superiori; ma sortirono solo risposte negative. Motivate, certo, ma in conclusione negative.
Don Antonino allora cercò nell’ambito della diocesi, naturalmente fra quanti sembravano aperti a problemi sociali e disponibili a colloqui con i giovani. Uno dei docenti che promise, e mantenne, l’impegno di alcuni incontri, fu Monsignor Franzoni, abate di San Paolo fuori-le-mura, già in polemica con la gerarchia per le sue posizioni di apertura, giudicate non coerenti con la dottrina della Chiesa.

D’altra parte, anche per la sua personale impostazione ideologica, Don Antonino non poteva andare a cercare fra conservatori, impossibilitati a incontrare giovani in grande maggioranza provenienti dalla sinistra, talvolta estrema, legati al Manifesto e a Lotta Continua e comunque tutti di grande apertura sociale e contrari all’establishment.

Oltre a Don Gigi Zulian, vicino ad Antonino fin dall’origine dell’idea e molto utile all’iniziativa, particolarmente da un punto di vista pratico, dal Brasile venne a TN Don ***, che stava studiando come dar vita, alla periferia di Recife, a un’opera per i ragazzi della strada ed era, forse per questo stesso, piuttosto in conflitto con i suoi superiori diretti.
Un altro salesiano in appoggio, rientrato, non so se definitivamente,
dall’America Latina, fu Don °°° , anch’egli in non chiaro rapporto col proprio
ispettore. I due confratelli, che non risultarono di grande aiuto per i loro troppi impegni personali e non risolvevano i dissensi con i diretti superiori, vennero presto sostituiti da altri: anche questi, due latino-americani e un italiano, regalati a TN… perché difficili da inquadrare nelle rispettive Ispettorie salesiane.

Un valido sostegno venne ad Antonino da Don Pasquale La Torre, che stava addottorandosi in teologia morale all’UPS. Fin dall’inizio impegnò alcuni week-end a TN, che si allargavano a più lunghi tempi residenziali nel periodo estivo.

Ma il sostegno e la condivisione maggiore Don Antonino li trovò nella segreteria del COSV (Comitato di Coordinamento di Organismi di Servizio Volontario), nato in Roma da matrice di sinistra per raggruppare e coordinare i servizi di volontariato.

Esisteva, con sede centrale a Milano, e ufficio anche a Roma, la FOCSIV (Federazione Organismi Cattolici di Servizio Internazionale Volontario). Don Antonino giudicò più opportuna la iscrizione al COSV, che aveva sede in Roma e dunque era di più facile accessibilità per diversi problemi, soprattutto burocratici quotidiani.

Dal COSV vennero come docenti sia la segretaria Carla Coletti, affiliata al Manifesto, sia il suo collaboratore Alberto Castagnola, che strizzava l’occhio a Lotta Continua. Il superiore dell’Ispettoria Centrale di Torino, alla quale, come altre opere di Roma, TN era incorporata, Don Felice Rizzini, in una sua visita a TN lasciò scritto: “L’adesione al COSV comporta interventi dei rispettivi dirigenti, che sono di diversa impostazione ideologica, ma molto rispettosi degli altri”(Aprile ‘74).

Un collaboratore valido era Domenico Volpini, poi Onorevole parlamentare. per diverse legislature. Aveva alle spalle un’esperienza di cinque anni con la famiglia (1964-69), in Kenia, presso i Padri Missionari della Consolata di Torino. Era stato tra i primi a rispondere all’invito di Paolo VI per un aiuto competente e cristiano al Terzo Mondo. Si era recato in Africa con moglie e figlia, presso missionari francescani. Ma proprio la sua impostazione chiaramente cristiana, ecclesiale, nonostante fosse molto aperta, gli rese piuttosto difficile l’inserimento nell’équipe dei formatori.

TN e 0MG (Operazione Mato Grosso)

Un lungo articolo del Bollettino Salesiano, del mese di novembre 1967 pubblicava il profilo dei 17 giovani che partivano per il Brasile, a Poxoreo, per la Operazione Mato Grosso: il Rettor Maggiore don Ricceri era presente al porto. e benediceva.

L’OMG (Operazione Mato Grosso) era un’iniziativa nata nel Centro Domenico Savio di Arese, tra i giovani deIl’ex carcere correzionale minorile Cesare Beccaria, da qualche anno affidato ai Salesiani su suggerimento di Papa Paolo VI: che provassero la loro capacità educativa con questi ragazzi difficili!

Nel periodo estivo i Salesiani portavano i giovani, obbligati a stare “in collegio”, in una baita, in vai Formazza, sopra Bognanco, in provincia di Novara.

Per tenerli occupati li impegnavano a giocare a fare i fieni, in appoggio dei pastori, a sistemare scoli, sentieri, casupole, baite…; attività che facevano con entusiasmo e divertimento.

Un missionario di Poxoreo, nel Mato Grosso brasiliano, Padre Pedro Melesi, tornato in Italia per un breve periodo di riposo e salito ai Sabbioni per visitare il fratello Don Luigi, al vedere questi giovanotti così attivi, si lasciò sfuggire:” Ah se veniste qualche mese con me nel Mato quante belle cose potrei sistemare!” Fu la scintilla.

Uno degli educatori, Don Ugo De Censi, raccolse l’idea e nacque l’Operazione.
Qua e là, in Lombardia prima e, a poco a poco, in tutt’Italia, si formarono gruppi di giovani che impegnavano il periodo estivo in Campi di lavoro (raccolta di pesche. mele, fieni, carta, stracci…) per fare soldi e finanziare qualcuno del gruppo per una permanenza di tre/quattro mesi in Brasile prima, ma subito poi in Ecuador e in Perù, presso questa o quella missione salesiana, impegnata in situazioni di pesante disagio: nel Mato, appunto, o sulle Ande.

Ogni gruppo era autonomo. Si coagulava attorno a qualche leader locale, si
appoggiava a un salesiano, che ne assicurava serietà e conoscenza dei tipi. Li collegava unicamente lo spirito di impegno altruistico: motivato solo da voglia di essere utili. Don Ugo passava a visitare i gruppi, entusiasmava, sosteneva, risolveva. Ma proprio Don Ugo voleva che la Operazione fosse aconfessionale: non richiedeva, a chi l’accostava, nessuna appartenenza religiosa: perché, diceva, doveva essere aperta a tutti. Anche se, fin dall’inizio, non mancava mai, al termine anche di una giornata di faticoso lavoro, la celebrazione eucaristica, magari dalle 23 alle 24. La partecipazione era però assolutamente libera.

Forse proprio questa aconfessionalità e il fatto di rifiutare la targa di movimento salesiano, suscitò interrogativi presso i Superiori. Poi qualche episodio negativo, di superficialità giovanile nei contatti con i missionari e le strutture che incontravano nel Terzo Mondo, qualche intemperanza, pure giovanile, di confratelli, che si liberavano con troppa facilità dalla vita regolare di comunità per seguire l’Operazione, accumularono dinieghi.

Il Bollettino Salesiano, aveva pubblicato altri quattro articoli molto elogiativi (dicembre 67, gennaio 68, gennaio e marzo 69). Poi, più nulla. Forse il rifiuto di qualificarsi come iniziativa della Congregazione; forse problemi di disciplina religiosa per i diversi Salesiani che vi si erano coinvolti, forse la conclamata aconfessionalità…

TN, che si andava costituendo in quei mesi, si trovò con facilità ad essere la correzione dell’OMG. Fu anzi presentata al Capitolo Generale, allora in atto, proprio come la alternativa benedetta di quell’aborto. 0MG improvvisava, TN studiava e preparava; 0MG non voleva qualificarsi come salesiana, TN lo sarebbe stata; 0MG mandava giovani comunque; quelli di TN sarebbero stati ben conosciuti, selezionati e preparati; 0MG era estro e fantasia; TN sarebbe stata progettazione curata.

I Capitolari, e tra loro quanti operavano nel Terzo Mondo, particolarmente latino-americano, dedussero che gli sarebbero arrivati in aiuto, gratuito, giovani cooperatori salesiani. Ma il dunque fu ben diverso.

Giovani 0MG

Era innegabile una certa improvvisazione, particolarmente nelle prime spedizioni dell’OMG. Il brevissimo periodo di permanenza (quattro mesi, andata e ritorno e visite turistiche comprese) non bastava certo per inserire i giovani volontari nel nuovo mondo. L’illusione, non solo dovuta all’età, ma, allora soprattutto, presente in tutti gli europei “maestri di civiltà”, di insegnare a “quei poveretti” come si fanno le cose, strade, ponti, case, fognature, coltivazioni… creò non pochi problemi. D’altra parte era nella filosofia stessa dell’Operazione la consapevolezza che andavano non tanto per l’utilità dei poveri terzomondiali quanto per la loro stessa formazione: aprendo gli occhi su più vasti orizzonti, scoprendo che cos’è veramente essenziale nella vita. E alcuni tornavano sconvolti e con germi di trasformazione nelle proprie attese e pretese dalla famiglia e dalla società nostra in genere.

Ma bastava questo a giustificare tutto il dispendio, di mezzi, di energie, di persone, che l’operazione comportava? Non era, alla fin fine, strumentalizzazione ai propri scopi? Ancora una volta, una forma di colonialismo?

Erano interrogativi che suscitavano e scaldavano le discussioni dei teorici e alimentavano le perplessità.

Da un punto di vista religioso, l’operazione, aconfessionale come si voleva, si dimostrava non solo rispettosissima dell’azione missionaria, ma partecipava anche con gioia e creatività alle celebrazioni e catechesi quotidiane e festive. Era una partecipazione libera, spontanea. Talvolta anche critica, ma non mai negativa. Rarissimi i casi di lamentele dei missionari salesiani al riguardo. Non successe così con i giovani di TN.

I giovani di Terra Nuova

Questi, riempiti delle chiacchiere, dai vocaboli scientifici che “definivano con esattezza situazioni e indicavano cause e rimedi sicuri e necessari”, in non pochi casi, arrivati sul posto sdottoravano con sicumera circa il “da farsi”: suscitando immancabilmente, prima sorpresa, poi rabbia, poi rifiuto da parte dei missionari, che spendevano da tempo la loro vita per il bene dei poveri, a cui erano stati mandati, senza alcun tornaconto personale e per sempre. Non come questi saputelli, arrivati da poco e in sicura rientro dopo meno di due anni.

Naturalmente non erano tutti così; anzi, forse neppure la maggior parte. Ma. stranamente, a parte qualche singolarissima eccezione, erano proprio le voci di codesti critici ad avere maggiore risonanza e credito presso il centro, e quindi a fare clima. Quelli che “andavano d’accordo” con i missionari, non solo non venivano considerati. ma erano quasi disprezzati, come gente che non aveva capito lo spirito di TN e si adagiava nella routine della comodità e passatempo.

Parecchi poi erano anche i casi di chi rifiutava la partecipazione a pratiche religiose e non mancava anche chi si impegnava a “svegliare” i ragazzi “educandi” perché si rifiutassero di lasciarsi “plagiare dai preti”. Quale reazione suscitassero in missionari, magari già avanti negli anni e quindi di loro natura restii alle novità, non è difficile immaginare.
Le lamentele ai Superiori della Congregazione divennero piuttosto pesanti: e di conseguenza i richiami ai dirigenti di TN: Eccezioni positive non mancarono.

I PROGETTI

A capire bene la situazione da questo punto di vista forse può servire quanto accadde per il primo volontario inviato da TN e quindi per il primo progetto.

Laureato in scienze politiche, Costanzo aveva presentato domanda di sostituzione del servizio militare con il servizio civile ed era venuto a TN già inoltrato nei sei mesi che gli spettavano prima di rispondere all’obbligo di leva. Ha frequentato, con interesse e partecipazione il corso. Aveva doti di intelligenza ed equilibrio e carattere facilmente tollerante. Romano, sposato con una finlandese. Frequentava con diligenza il corso durante il giorno. La sera tornava a casa.

I giorni passavano, ma di progetti non si vedeva segno. Don Antonino era un abilissimo teorico: bastava dargli un titolo e due giorni dopo ti si presentava con un dettagliato indice del libro che avrebbe potuto scrivere. Ma forse mancava di senso pratico. Aveva fatto una corsa in America Latina, per rilevare situazioni, presso opere missionarie salesiane, dove si pensava utile l’inserimento di qualche volontario. Ne aveva viste molte, ma di concreto non aveva portato nulla al centro: i motivi di dubbio risultavano sempre più forti delle ragioni persuasive.

Si era quasi alla vigilia della scadenza dei famosi sei mesi. Don Antonino non voleva perdere quell’elemento, che giudicava molto prezioso, ma anche il candidato stesso assolutamente non voleva fare il militare. Venne in visita al centro un superiore maggiore salesiano, Don Castillo Lara, futuro cardinale, allora membro del Consiglio Generale come Consigliere per la pastorale giovanile e pertanto interessato al movimento. Intesa la situazione, si mise alla macchina per scrivere e in tre-quattro ore descrisse il progetto in cui il giovane poteva essere inserito. Fu presentato al Ministero; fu approvato, e Costanzo partì con la moglie per Assuncion, in Paraguay. Intelligente, preparato, fu di una qualche utilità in lavori di segreteria. Ma la moglie finlandese incinta fu consigliata dai medici di recarsi in Finlandia per preparare il parto; e dopo qualche tempo anche il marito la raggiunse.

Diciamo che non fu un ottimo inizio per il volontariato TN: I confratelli della missione salesiana presso cui era appoggiato il progetto l’accettarono per obbedienza, ma il loro giudizio sull’iniziativa non poteva non essere almeno perplesso. Capivano che erano gli inizi, che bisognava pazientare perché si chiarissero idee e comportamenti. Per questo, a parte alcuni giudizi drastici, stroncatori, le speranze suscitate dalla presentazione del movimento sopravvissero alle parziali delusioni. Del resto, le cose migliorarono.

Revisione continua

Gli interrogativi “a monte”, cioè sulle idee che abitavano a TN, erano molteplici. Si esternavano in dialoghi non sempre sereni fra gli stessi animatori del centro, si confrontavano in incontri alla Pisana di Antonino con membri del Consiglio Generale, soprattutto con il Vicario Don Gaetano Scrivo e il Consigliere per la pastorale giovanile Don Castello Lara.

Antonino non esitava a stendere in più pagine il pensiero che lo guidava. Nodo centrale era il nesso fra Evangelizzazione e Promozione Umana. Raro, ma sopravviveva qualcuno che assegnava alla Chiesa il compito esclusivo della Evangelizzazione, senza alcun impegno di promozione umana, arrivando a dire che annunciare il Vangelo era promuovere la crescita dell’uomo, e la Chiesa non aveva altro compito: toccava ai laici il resto. E c’era chi sosteneva che promuovere l’uomo già era evangelizzare: non c’era necessità di Cristo, di Chiesa, di Sacramenti. Sono consapevole che linguaggi simili oggi fanno quasi senso, anche se non sono del tutto scomparsi e ci vuole coraggiosa longanimità per supporre risolto il dilemma in certi movimenti, che pur si definiscono ecclesiali.

Ancora oggi nel VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo), che ha ereditato l’iniziativa di TN, il dilemma Evangelizzazione e Promozione umana è ancora un problema serio nelle sue implicazioni operative.

Ma allora il dibattito era vivissimo e vivace, con la tipica tendenza del tempo a polarizzare sempre la propria opinione, di modo che la propria affermazione escludeva la possibilità di chi la pensava diversamente. La Evangelii nuntiandi portò indubbiamente un chiarimento, e soprattutto quella moderazione nel confronto, che rese possibile dialogo e convivenza.

Ristrutturazione dell’equipe

Nel settembre 1972 venne inviato a TN come incaricato del gruppo di confratelli don Carlo Filippini. Aveva terminato il sessennio di direttore a Valdocco, alla cosiddetta “Scuola apostolica”. Era originario dell’Ispettoria novarese, ma, con la direzione a Valdocco, ormai faceva parte dell’Ispettoria centrale di Torino, da cui dipendeva TN. Lo accompagnava l’esortazione-raccomandazione del Rettor Maggiore Don Ricceri, che si può sintetizzare così: “Abbiamo bisogno di uno che capisca le esigenze di questi giovani; comprenda la loro tensione innovativa e sociale, ma mantenga l’iniziativa legata alla Congregazione, della quale è espressione”.

Gli incoraggiamenti più benevoli pervenuti a don Filippini erano “avrai delle belle
gatte da pelare” Ci venne con serenità e buona disposizione dì animo: “Vediamo prima se son gatte e se poi siano da pelare!”

Particolarmente il nuovo ispettore Don Felice Rizzini volle impegnarsi. con l’esemplare desiderio di chiarezza, a capire TN e a risolvere i continui conflitti interni ed esterni. Venne più volte nella sede di via Appia; parlava con l’uno o con l’altro dei confratelli, ma anche con diversi collaboratori laici, riportandone, per esempio impressione favorevole come riferito sopra — circa i principali collaboratori Carla e Alberto, che pure si dichiaravano esplicitamente dell’estrema sinistra (Lotta Continua e Manifesto).

I problemi però, al di là delle intese teoriche, rimanevano. La Congregazione appariva ben compromessa con l’establishment, anche in Italia, ma soprattutto nei paesi di missione, in gran parte governati da politici di destra, perciò oppressori del popolo.

40 giorni in America Latina

Urgeva anzitutto risolvere il problema pratico della mancanza di progetti nei quali inserire i giovani che terminavano il corso di preparazione e in scadenza di tempo utile per il servizio civile sostitutivo. Don Valastro che Don Zulian, quand’ancora il centro stava nascendo; erano stati in America Latina, ma non erano fiorite indicazioni consistenti e valide.
Dopo non poche resistenze, Don Filippini fu convinto a fare un viaggio presso Salesiani e non salesiani, impegnati in opere sociali passibili di progetti, che potévano essere accetti ai giovani e approvati dal Ministero.

Dal 16 giugno al 26 luglio 1974 Don Filippini fece una corsa di 24 voli attraverso Brasile Bolivia Ecuador Colombia e Venezuela.

In Brasile visitò l’opera di Padre Elia, un frate carmelitano friulano che a Ubatumirim — due ore di barco dopo Ubatuba, località quasi turistica sull’Atlantico, sotto San Paolo — aveva aperto un posto de saude e avviato, con un giovane brasialiano e 4 giovani volontari italiani (uno era ingegnere in elettronica, nipote di P. Gavazzi, abate di Santa Scolastica a Subiaco); una piccola fabbrica di barche per facilitare agli abitanti della selva la pesca. Si inserì poi nel gruppo una volontaria infermiera della zona di Napoli, preparata da Terra Nuova.

Alla favela di Jacarezinho, alla periferia di Rio, non trovò Mastrangelo, un volontario, contattato qualche tempo prima da Don Valastro: vi era andato per conto suo a dar una mano ai due salesiani anziani che gestivano la parrocchia. Non riuscendogli di collaborare con loro nella grande favela, si era trasferito al nord, nell ‘Acre Rio Grande..
A Campogrande, nella numerosa università salesiana trovò possibilità di inserimento per un giovane di Montelupone (MC) laureato in filosofia. Nell’occasione visitò il lebbrosario “Sao Juliao” a pochi chilometri dalla città: un immondezzaio trasformato in gioioso giardino dall’opera avviata dalla FMA Sr Silvia Vecellio e realizzata dal gruppo 0MG di Torino; che ebbe principale artefice Don Franco Del Piano, un giovane salesiano, affermato architetto, al quale proprio lì, nel Mato Grosso, dopo una giornata di grande fatica, si rivelò un’avanzata leucemia, che in tre anni lo portò alla tomba. Una storia che andrebbe ripresa e raccontata a parte. Al Sao Juliao lo pregavano come un santo. Fu giornata di grande emozione, perché Don Franco apparteneva alla comunità di Valdocco, della quale Don Filippini era direttore e quindi conosceva bene tutta la vicenda.

Passato a Corumbà, visitò le due opere salesiane; dove certo c’erano possibilità di progetti in aiuto all’opera educativa che, tre SDB al Santa Teresa e due alla Cidade Dom Bosco, portavano avanti con una popolazione numerosissima di giovani.

Nota curiosa ma significativa: ricordiamo tutti quanta stima riscuoteva dom Helder Camara in Europa e come i giovani ne fossero affascinati. Bene: almeno otto su dieci dei confratelli interpellati si dichiararono nettamente contrari. Camara faceva del male alla nazione e alla Chiesa brasiliana. I nostri giovani TN, per i quali Camara era quasi un idolo col suo impegno rivoluzionario, dovevano collaborare con missionari così.

In Bolivia a La Muyurina, una struttura della Shell, la grande società petrolifera, ereditata dai salesiani presso la cittadina di Montero, già c’era una coppia di volontari; sposati da poco, si erano inseriti bene con la comunità salesiana e lavoravano nella scuola. Proprio codesta loro intesa con la struttura li rese sospetti al centro di TN e poco esemplari rispetto al sogno “rivoluzionario” di TN: non venivano mai citati, come fossero frutti bacati.
A La Paz c’era spazio per un buon progetto in appoggio all’opera di desarrollo che
don Pascual Cerchi aveva iniziato a El Alto, cioè sull’altopiano dove finisce questa incredibile città e c’è l’aeroporto. Don Cerchi aveva tirato su un capannone omnibus:
cappella, teatro, tipografia, sala giochi, sala riunioni. Proprio lì ci andò Francesco Zaratti, un giovane di Rocca Priora, laureato in fisica. Insegnava presso l’Università statale, giù, in città, e svolgeva opera di volontariato a El Alto. Francesco faceva parte della redazione della rivista salesiana Note di Pastorale Giovanile; veniva da un gruppo, guidato da un sacerdote lombardo, ma della diocesi di Frascati, pure lui poi missionario prima in Bolivia, poi, fino alla morte, in Guatemala. Francesco è ancora là, a La Paz, ormai da più di trent’anni. Ha sposato una farmacista locale, ha una bella famiglia e continua “impegnato con l’annuncio del Vangelo”:ed è anche diventato un’autorità di riferimento della Bolivia per i temi energetici, in particolare del gas, attualmente la principale risorsa del paese.

In Ecuador la fermata fu più lunga; c’erano possibilità di inserimento utile a Quito, presso il Tecnico, a Bomboiza, a Zumbagua sulle Ande (oltre i 4.000 m.) dove operavano già per l’alfabetizzazione due giovani di Cooperazione Internazionale, l’associazione di volontariato fondata e seguita dal gesuita P. Barbieri. A Guayaquil, a Cuenca, a Macas. Proprio a Macas, nell’Oriente, ci andarono 4 volontari, che si resero molto utili. Uno. Goffredo, geometra, vedovo ancor giovane, ha insegnato nella scuola e si è rifatto una famiglia sposando una donna del luogo. Vi è rimasto per anni. Due, Lillina e Carlo, andarono anche nella foresta, dove avviarono una cooperativa agricola. Si sposarono. Rientrati in Italia continuano tuttora a lavorare nel volontariato, con un’esperienza di casa famiglia, in un casale alla periferia di Roma, poco oltre il Divin Amore. Il quarto, un giovane geometra romano, ha svolto, con soddisfazione personale e riconosciuta intesa coi missionari, il suo servizio di due anni. In Ecuador don Filippini ebbe l’opportunità di incontrare diversi giovani dell’Operazione Mato Grosso, ben presenti e gioiosamente attivi in quella zona dell’Oriente ecuadoriano.

In Colombia c’erano prospettive a Bogotà presso il centro di educazione dei ragazzi della strada che P.Javier De Nicolò aveva iniziato in collegamento e cooperazione con i ministeri dell’Istruzione e degli Interni colombiani e lasciava intravedere grandi speranze di futuro: un futuro poi ben confermato dai grandi risultati educativi per i ragazzi e giovani. Ancora oggi è opera esemplare e imitata. Ma proprio questa intesa col governo locale suscitava perplessità nel clima rivoluzionario del centro TN.

Prospettive favorevoli s riscontrarono anche alla Ciudad del nino sopra Medellin.
In Venezuela già operavano due volontari in appoggio alle attività sociali promosse dall’oratorio salesiano in Caracas: avevano avuto anche problemi per essersi schierati con una parte del clero (anche di Salesiani) contro la gerarchia ecclesiastica per alcune scelte non giudicate in linea con gli intendimenti del Concilio.

Ma poi a Carrasquero, a Valencia, Al Boquete… Fu un viaggio veloce, ma sufficientemente fruttuoso per l’avvenire di TN: Don Carlo rientrò il 26 luglio, come programmato. Dall’aeroporto di Fiumicino direttamente alla riunione in atto a TN, dove un nutrito gruppo stava concludendo il cosiddetto corso di preparazione. Aspettavano speranze: e speranze c’erano, anche se tutte da controllare, concretizzare, farne progetti.
(Di codesto viaggio don Filippini, dall’87 parroco a Santa Maria della Speranza, presso l’Ateneo Salesiano e impegnato, per insistenza dell’Ispettore, a mantenere viva Radio Speranza, – una delle prime radio libere in Italia, uscita dalla fantasia e dalla capacità tecnica del parroco don Carlo Bressan — esiste forse ancora una registrazione, non certo perfetta, incisa in diretta della ventina di puntate — 8/10 minuti l’una in cui raccontava la sua esaltante esperienza ai parrocchiani)

La filosofia di TN: i progetti

In atto non ce n’erano se non uno o due per la Tunisia, con organizzazioni statali: poggiavano su TN ma erano chiaramente gestiti più dal COSV che dai salesiani. Ci andarono e fecero bene almeno tre volontari. Anche in Centro Africa si apri un progetto, poggiato su una comunità missionaria francescana. Si inserì una coppia di volontari di TN, sposati da poco. Lavorarono bene,con soddisfatta approvazione dei francescani. Purtroppo dovettero superare difficoltà non lievi per la nascita del primo bimbo, con diversi problemi fisiopsichici.

Altri progetti nacquero abbastanza presto, in appoggio a missioni salesiane e non. Diversi inserimenti riuscirono bene; altri un po’ meno. Usando il linguaggio d’allora, a monte rimaneva, secondo i Superiori e parte dell’équipe, una posizione non chiara della filosofia di TN. Fondamentalmente la domanda che sottostava ai dispareri e non sempre veniva esplicitata era «Può TN, organismo emanazione della Congregazione Salesiana, accontentarsi di fare promozione umana, senza preoccuparsi di evangelizzazione?» E la risposta di una parte era subito: promozione umana è già evangelizzazione.

“Non è vero – esemplificò un Superiore della Congregazione – in Russia si fa certo
promozione umana ma non possiamo dire che si faccia evangelizzazione!” Come già sottolineato sopra, ma mi pare necessario ribadire qui, perché è veramente la questione nodale di TN, si tratta di un discorso oggi forse più facile, allora certamente no. Anche perché, secondo la solita tensione di polarizzazione, allora – ma anche oggi – sempre presente nelle discussioni, si sfociava nell’accusa che evangelizzare non era promozione umana.
Voi fate solo promozione umana, dunque non evangelizzate, anzi in taluni casi vi opponete alla evangelizzazione. E lì a sciorinare episodi, naturalmente anche allargati, di contrasti con i missionari locali e l’educazione religiosa riscontrata.

Voi fate evangelizzazione ma non vi interessare dei problemi reali dell’uomo, e lì a elencare episodi di missionari all’antica, naturalmente esagerando difetti e richiamando “malefatte” di evangelizzatori, che hanno danneggiato uomini e popoli in nome del vangelo: per esempio facendo più civiltà europea che vera cultura cristiana.

Un discorso, come si intravede, ben più vasto e complesso, ma continuo nella quotidianità della vita di TN: conducendo a scelte, promozioni o bocciature che facevano sanguinare équipe, missionari, superiori e volontari.

Rilancio?

Don Felice Rizzini, superiore dell’Ispettoria Salesiana Centrale e dunque diretto responsabile della piccola comunità di TN, tentò nuovamente di far chiarezza e ortodossia nell’operato del movimento. Non contento di aver parlato più volte, anche a lungo, nella sede di Roma, con gli SDB direttamente impegnati e con diversi collaboratori, convocò a Torino, sul finire dell’agosto 1975 Valastro, La Torre, Zulian e Filippini. Comparve un piccolo documento di due pagine sulla dibattuta questione Promozione umana e Evangelizzazione. Si discusse insieme il testo; in spirito di conciliazione; non fu troppo difficile trovare l’accordo sui sostantivi: Chiesa, Congregazione, Vangelo ed Evangelizzazione, Promozione, Magistero… ma, come sovente succede, aggettivi ed avverbi rimanevano dentro, lasciando praticamente ad ognuno lo spazio per intendere le cose a proprio modo.

Al termine dell’incontro comunitario, durato circa tre ore, l’ispettore don Rizzini ci sentì uno per uno. Filippini, diversamente dagli altri tre, dichiarò di non sentirsela di continuare la sua presenza a TN, dicendo esplicitamente al superiore che, secondo lui, per la conoscenza che aveva soprattutto dei pensatori Valastro e La Torre, nulla sarebbe cambiato dalla impostazione precedente.

Tutti sottolineammo la necessità che a preparare i giovani per un inserimento utile nei paesi di sviluppo, bisognava che a TN ci fosse qualche confratello che proveniva da codesti paesi. Si fecero anche diversi nomi. Particolarmente ci fu l’insistenza su un salesiano, che stava venendo in Italia, per un corso all’Università Salesiana, dall’Ecuador, dove aveva lavorato con frutto tra gli Achuar della zona amazzonica e conosceva assai bene la gente delle Ande. Lui si disse disponibile, però era sicuro che non gliel’avrebbero permesso perché “dicono che pico el ojo a la isquierda “, (guardo troppo a sinistra).

Venne a TN Don Natale Cerrato: un gran brav’uomo, un piemontese quadrato, che rientrava in Italia per salute. Aveva 53 anni. Faceva molto bene con i giovani exallievi.. .di Hong-Kong! Terzo mondo? E comunque un mondo ben diverso da quello nel mirino di TN. Aperto, di grande equilibrio, però subito chiaramente in difficoltà col tipo di vita, di caratteri, di discussioni, di non-orario, che riempivano le giornate lavorative di TN.

Gli fu subito impossibile la convivenza con i giovani che frequentavano TN e più ancora con l’équipe: della quale non afferrava, perché non condivideva, il linguaggio. Dopo due settimane, con frequenti colloqui con don Natale, don Filippini lasciò la sede di Via Appia, destinazione “Germi”, come aiuto nel CFP.

Penso sia doveroso conoscere la lettera con cui salutava giovani, superiori e confratelli:

Roma 14.09.75

Cari amici, l‘anno scorso, in data 10 settembre, facendo seguito a un invito di Don Luigi Ricceri, Rettor Maggiore dei Salesiani, a stendere alcuni appunti su colloqui avuti con lui, scrivevo così:
Sono stato mandato dai superiori a TN per mediarne i rapporti con la Congregazione. Dopo due anni di tentativi e riflessioni, concludo che a me tale mediazione risulta impossibile. Propongo la necessità e la urgenza che al mio posto venga un confratello, la cui autorità, nel seno dell ‘organismo, non derivi solo dall’ obbedienza, ma da prolungata e valida esperienza nelle missioni.
Terra nuova fa certamente un lavoro salesiano, offrendo il suo servizio ai giovani che vogliono impegnarsi seriamente per la liberazione dell’uomo.
Ho dubbi che faccia un servizio al Terzo Mondo, per il dfficile inserimento di questi giovani in una realtà tanto diversa e per il troppo breve tempo dell ‘impegno.
E’ certo che, per ora, non fa un servizio alla Congregazione: nelle missioni, quasi dovunque i volontari sono in contrasto con i Salesiani:
per la impreparazione e la improntitudine giovanile.
per la incapacità di troppi salesiani, soprattutto negli organi dirigenti locali, di accettare e condividere la loro responsabilità e le nuove visioni dell ‘impegno per lo sviluppo,
per le tensioni che esistono praticamente dovunque nella Con gregazione: i volontari si sentono appoggiati, nella loro naturale opposizione alle strutture, dai confratelli più aperti, cioè da quelli che più dialogano con loro.
per la innegabile situazione di troppe opere non dirette ai poveri.
per la incapacità e impossibilità dei giovani a comprendere molte debolezze individuali dei confratelli.
E’ necessaria e urgente la presenza di un confratello che conosca bene le missioni salesiane e i giovani:
per aiutare nella scelta delle opere e comunità di intervento nel Terzo Mondo. dove il servizio alla Congregazione sia veramente servizio ai più poveri
per essere nella équipe degli esperti di TN (salesiani e laici) un elemento di concretezza nello svolgimento dei corsi di preparazione;
per passare ai giovani, con maggiore prestigio, la necessaria pazienza della gradualità, del rispetto: senza tuttavia spegnere in loro l’ideale e mantenendo gli tutta la responsabilità di cui sono capaci.
Forse così si potrà sperare di continuare il dialogo fra questi giovani impegnati e la Congregazione impegnata”

Continuavo poi gli appunti parlando della mia situazione personale.

L‘ultimo anno trascorso non mi ha sciolto i dubbi sulla possibilità di continuare a stare nell’équipe. Non sono tipo da grandi teorie; non riesco a capacitarmi come nel necessariamente breve tempo dei corsi, sia possibile spiegare tutto il mondo e nello stesso tempo preparare decentemente un giovane, diplomato di fresco, a dare una mano, sia pure elevante, in una scuola professionale dell ‘Oriente ecuadoriano.
Due anni fa, in alcuni appunti di discussione, notificavo all ‘équipe:
TN è in funzione del sottosviluppo, non di una sua dottrina o strategia
decidendo per la possibilità e validità dell ‘intervento del personale volontario nel Terzo Mondo, si impegna per la sua formazione in rapporto all ‘intervento stesso:
TN non è un istituto superiore di politica dello sviluppo: bisogna vincere la tentazione (spiegabile in persone cresciute sui libri) di rifondare l‘universo; è necessario partire concretamente dai progetti a disposizione e formare il personale di conseguenza; bisogna “essere intransigenti e sopprimere implacabilmente tutti i concetti per i quali non si può dimostrare positivamente che in questi interventi è necessario conoscerli” (Comblìn).
La teoria deve essere ridotta al minimo, anche sui grandi temi di fondo .
Continuavo specificando come pensavo i corsi di preparazione, nel rispetto dei tempi umanamente credibili.
Erano osservazioni che la breve corsa nell’America Latina dello scorso anno mi aveva sottolineato fortemente.
A queste soluzioni, sotto la spinta soprattutto dei giovani in servizi o ritornati, si sta quasi arrivando. Perché di passi verso la concretezza se ne sono fatti, indubbiamente. Inoltre ora c ‘è anche una chiarificazione con i Superiori, che hanno voluto Terra Nuova fin dall‘inizio come appoggio alle missioni, soprattutto salesiane. Si tratta di una chiarificazione che vi verrà, spero fra breve, comunicata dall‘équipe che porta avanti TN.

Tuttavia, alla domanda rivolta ai singoli dall‘Ispettore: “Ve la sentite di portare avanti questo nuovo corso di TN?” ho risposto negativamente, richiamandomi a quanto riportato sopra. Credo che questo sia veramente meglio per TN.
Cari amici, mi dispiace, certo, lasciare TN Per me sono stati tre anni di vita, non di mestiere. Li ho vissuti, ha condiviso, ho difeso, ho lavorato, come ho saputo ma più che ho potuto per quello che ritenevo il bene di TN. Perché a TN io voglio bene. Le istanze che mi ha messo dentro non le spegnerò. Vi assicuro che, se non fossi certo di richiedere troppo ai miei genitori, mi sarebbe più facile fare un passo avanti, nelle Missioni, nel Terzo Mondo.
Vi chiedo di dimenticare le troppe impulsività. di perdonarmi. Vi ricordo tutti con
affetto.
Don Carlo
Ho scritto oggi questo saluto perché da domani qui sarà il mio sostituto. Quanto a me non posso comunicare il mio indirizzo perché… non lo so ancora.

I Salesiani lasciano TN

Nota don Zulian: ‘Lo sganciamento dei Salesiani da TN era prevedibile e da troppo tempo nell’aria; il motivo di fondo della crisi dei rapporti dei Salesiani con TN fu la diversità di vedute, a proposito del volontariato, di Antonino (e di buona parte dei suoi collaboratori) e dei superiori. E cioè: i volontari erano o dovevano essere per Antonino: laici impegnati nel sociale (”facoltativa” anzi a volte contrastata una fede religiosa); per i Superiori: laici “missionari” (più precisamente inseriti nelle missioni, a servizio dei missionari). La formulazione naturalmente è sintetica: ci sarebbero da fare dei distinguo... però il nocciolo è questo.

Per capire meglio la sofferta decisione dei Salesiani di interrompere i rapporti con TN, penso sia utile ricordare come era la situazione a TN in quel periodo.

Don Antonino Valastro da qualche tempo se n’era andato, ritirandosi presso una comunità di Ostia. Don Pasquale La Torre, dopo aver tentato di inserirsi in diocesi, aveva lasciato pure lui i Salesiani. Don Natale Cerrato aveva supplicato di essere trasferito. A TN ero rimasto solo”

Quando don Valastro se ne andò da San Callisto, l’ispettore don Felice Rizzino incaricò don Zulian di assumere la presidenza di TN in attesa delle nuove elezioni. I rapporti però si deterioravano sempre più. Giovani e docenti frequentavano sempre la sede in via Appia Antica, ma la tensione cresceva.

Io (scrive don Zulian) mi trovavo in una posizione difficile: da un lato, per nessuna cosa al mondo mi sarei staccato dalla Congregazione, – anche se qualche confratello mi catalogava tra i rossi, come quelli che se ne erano andati; dall’alro cercavo di non distruggere quello che di buono si era fatto e si faceva ancora a TN. Tra l‘altro c’erano giovani tuttora in missione. Come comportarsi con loro e con i loro genitori?. Grossi problemi, rosse difficoltà”.

E vennero altre complicazioni. I giovani e alcuni docenti avevano richiesto un’assemblea.. Alcune riviste e giornali avevano pubblicato articoli, non certo benevoli verso i Salesiani, qualche titolo e qualche brano di questi articoli.

Troppo amici degli Indios: licenziati.. Continua la purga dei progressisti della Chiesa: è il turno dei Salesiani. Prendeva lo spunto di Carlo De Nardi e Lillina Attanasio che, inseriti nel progetto Macas, avevano lasciato la “ottusità” e lo “spirito borghese” dei Salesiani e si erano recati a Uiunza, nella foresta. Don Zulian, che ha conservato questo articolo, ha annotato a fianco “Titolo tendenzioso” e “Tutto l’articolo è una gran cavolata…” Si parlava anche di Monsignor Prata e della sua richiesta di volontari per lavori a sostegno dell’Università di La Paz, da lui fondata e sostenuta.

Questo tipo di volontariato a noi non serve: i Salesiani hanno deciso di sospendere le attività di Terra Nuova, un istituto per la formazione di volontari per il terzo mondo. perché? (COM-nuovi tempi)

L’assemblea fu alquanto tumultuosa. C’erano – uno? due? – giornalisti, certo di sinistra ma di sicuro non di grido, com’era stato detto. Per la parte dei superiori della Congregazione c’era don Luigi Fiora: impressionò la sua calma olimpica di fronte a un mucchio di vituperi.
Fu sancito il distacco ufficiale dai Salesiani. Si elesse il nuovo presidente nella persona di Lina Frasca, una volontaria che era stata due anni in Brasile. Nel nuovo consiglio faceva parte anche Domenico Volpini.

TN si divise in due organismi: TN 1, che seguisse i volontari tuttora in servizio, e TN 2 per lo sviluppo del nuovo indirizzo.

Si trovò una nuova sede, sulla via Ostiense, presso la Basilica di San Paolo: era stato proprio I’ex abate Franzoni a procurarla. Don Zulian continuava a fare la spola tra Via Appia e Via Ostiense, dove ebbe modo di incontrarsi sovente con Franzoni, “uomo buono e generoso. Quante belle chiacchierate la sera. Traspariva a volte la sofferenza per la scelte fatte, ma mai, neppure una sola volta, l’ho udito recriminare contro la gerarchia, la Chiesa. pur criticando, ma con serenità e pacatezza, alcune scelte di essa.

TN: morte e risurrezione

Poco più di un anno dopo i Salesiani si ritirano da TN. L’associazione fu presa dal gruppo di laici che già vi lavoravano.

La nuova TN si presenta così (internet): Terra Nuova è una associazione italiana senza fini di lucro (ONLUS) costituita nel 1969, anno in cui ha iniziato le proprie attività nella cooperazione internazionale. Siamo impegnati nell’ambito della solidarietà e cooperazione allo sviluppo in America Latina ed Africa. Nel 1972 è stata riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri italiano come ONG idonea a realizzare programmi e progetti di cooperazione allo sviluppo. Dalla fine degli anni 70 realizza anche progetti e programmi finanziati dalla Commissione Europea.

Continua poi spiegando finalità, approccio strategico, obiettivi di sviluppo e metodologia applicata, ed elenca le presenze operative, la maggioranza delle quali, sono ancora quelle impostate dai salesiani.

Ma credo che possiamo parlare di resurrezione di TN con la nascita, la crescita, lo sviluppo del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo).

E’ un ONG (Organismo Non Governativo) costituitosi nel 1986 e una ONLUS di diritto. Si ispira ai principi cristiani e particolarmente al carisma di Don Bosco. Infatti è parte integrante della Famiglia Salesiana, fa capo al Centro Nazionale Opere Salesiane CNOS, che ha promosso il VIS quale associazione che agisce nel settore del volontariato e della cooperazione”.

Come è facile rilevare, anche solo da questa semplice presentazione, VIS e TN – quella degli anni 69-75 circa si assomigliano tanto da poter essere considerati uno riedizione dell’altra: migliorata senz’altro. Anche perché sono cambiate tante cose. Ideologicamente. Evangelizzazione e Promozione umana, problema di fondo nell’impegno del volontariato cristiano, hanno approfondito il loro significato specifico: forse non ancora del tutto risolto – ammesso che sia completamente risolvibile – il rapporto reciproco. Rimane vero – ed è osservazione autorevole a proposito del VIS – che una cosa è il volontario che parte da principi religiosi e si concretizza anche nell’impegno sociale; altro è l’impegnato sociale irrorato per quanto si voglia di preghiera e Parola di Dio.

“E’ questo l’atteggiamento di gran lunga predominante in questo nostro volontariato occidentale” Crolla molto più facilmente di fronte alle difficoltà materialmente irrisolvibili; mentre la motivazione religiosa rende capaci di maggiori eroismi.”

4. VIS, VOLONTARIATO INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO

Era il 3 marzo del 1986. Nell’Istituto Salesiano Crocetta di Torino, un gruppo di 14 persone rappresentanti di tutta la Famiglia Salesiana, sotto la guida di Don Angelo Viganò, Ispettore di quel raggruppamento di Case salesiane che era chiamato Ispettoria Salesiana Centrale, firma l’atto costitutivo di un nuovo Organismo Non Governativo con il programma espresso nel nome: impegno per il volontariato internazionale e impegno per lo sviluppo umano.

A dire il vero la “S” era stata pensata per Salesiano, ma una amica, funzionaria del Ministero degli Affari Esteri, la Dottoressa Marina Miconi, suggerì di essere più laici nella forma per aver maggior accesso a quegli Enti finanziatori che, proprio perché non sono veramente laici, fanno discriminazioni ideologiche soprattutto nei confronti di chi si professa cristiano.

Da pochi anni, un altro Viganò, Don Egidio, Rettor Maggiore dei salesiani, il maggiore dei tre fratelli, tutti salesiani, aveva lanciato il «Progetto Africa». Tutte le Ispettorie salesiane erano invitate a mandare missionari e laici, a studiare progetti, a realizzare servizi in favore dei giovani poveri. La Cooperazione Italiana prevedeva la possibilità di finanziare le iniziative che la società civile doveva presentare per mezzo delle ONG e don Angelo Viganò incaricò don Giancarlo Freretti di studiare uno statuto che fosse all’avanguardia nella progettazione dello sviluppo, con particolare attenzione all’educativo, e convogliasse tutta la forza creativa dei laici salesiani.

Già Don Bosco l’aveva fatto quando nella fondazione della Congregazione aveva lanciato un appello ai laici per lavorare uniti nell’educazione dei giovani poveri e li aveva costituiti nell’Associazione dei Cooperatori salesiani, ma li aveva anche spinti a partire per le missioni affiancandoli ai confratelli, e poi alle Figlie di Maria Ausiliatrice, fin dal 1875 nella prima spedizione missionaria in Patagonia.

È importante notare come anche nei soci fondatori del VIS sono presenti tutte le componenti di quella che viene chiamata la Famiglia Salesiana.
Cosimo Cuoco: exallievo e cooperatore salesiano.
Maurizio Baradello: cooperatore,
Sua moglie, Falcione Silvia: cooperatrice,
Valerio Fenoglio: Presidenza ispettoriale Exallievi del Piemonte.
Enrico Greco: exallievo
Enrico Sacchi: exallievo, fu il primo vicepresidente del VIS. È stato poi, delegato nazionale dei cooperatori di Italia-Medio Oriente.
Suor Luigia Borsato, Ispettrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA)
Don Angelo Viganò che fu l’ideatore del VIS. Era Ispettore dei salesiani dell’Ispettoria Centrale.
Silvano Dalla Torre: salesiano coadiutore Fu il primo Presidente del VIS. Ora in Paradiso.
Don Giancarlo Freretti: salesiano. incaricato ispettoriale per gli obiettori e il servizio civile e per l’animazione missionaria.
Alessandro Lajolo: cooperatore.
Sergio Sgambetterra: cooperatore,
Don Giuseppe Baracca: salesiano, fondatore dell’Associazione “Amici di don Bosco”, e del “Club dei 100.000”. Ora in Paradiso.
Infine, Angiola Maria Costanzia di Costigliole in Bompard: exallieva delle Figlie di Maria Ausiliatrice e cooperatrice, è stata rappresentante nazionale delle exallieve, è stata per tanti anni la tesoriera del VIS fino alla sua morte (17 marzo 2006).

Alcune date significative

Sono seguiti anni di intenso lavoro in cui abbiamo tentato di rendere operativa l’intuizione iniziale pur apportando i cambiamenti richiesti dall’evoluzione della situazione mondiale sia nei Paesi in cui operiamo sia nella gioventù di casa nostra.

1986 Alla sua fondazione partecipa l’intera Famiglia Salesiana: primo Presidente il Sig. Silvano Dalla Torre, salesiano coadiutore, già missionario in Tailandia e Docente di elettronica

1987 Il MAE riconosce al VIS le idoneità alla cooperazione allo sviluppo

1988 Don Ferdinando viene inviato a Torino come Animatore Missionario nazionale e diventa Presidente VIS

1990 La sede del VIS viene trasferita a Roma

1993 Si modifica lo statuto: il VIS intuisce che la sua forza è di riconoscersi nella struttura civilistica della Congregazione salesiana, il Centro Nazionale Opere Salesiane, CNOS, ente morale riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana. Essendo promosso dal CNOS, diventa l’espressione autorevole della Conferenza degli Ispettori Salesiani Italiani, CISI, nell’area del Volontariato Internazionale e della Cooperazione allo Sviluppo. Viene eletto come presidente un laico: Antonio Raimondi

1996 La necessità di radicarsi sul territorio italiano e anche il bisogno della “devolution” porta ad un ulteriore modifica dello statuto. Oltre a numerosi laici tutte le Ispettorie Salesiane Italiane e qualcuna anche estera chiedono di diventare soci del VIS. Vengono costituiti i Comitati regionali ed interregionali

2000 Il 27 Luglio al VIS è riconosciuta la personalità giuridica: Ente morale

2007  Massimo Zortea succede ad Antonio Raimondi nella carica di Presidente del VIS.

2007  Il VIS viene iscritto presso la Prefettura di Roma nel Registro delle Persone Giuridiche.

2009  Don Franco Fontana succede a Don Ferdinando Colombo nella carica di Vice-Presidente delegato CNOS.

2010 L’Organismo riceve dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) lo status di  organismo consultivo nell’area dei diritti umani, conseguendo la possibilità di partecipare alle sessioni del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.

Agenzia Educativa

Nei venti anni dalla sua fondazione il VIS ha progressivamente assunto una sua precisa identità di agenzia educativa che lo colloca a pieno diritto nel Carisma Salesiano.

L’obiettivo principale del VIS è diventato la formazione dei giovani e degli adulti nell’intento di favorire la strutturazione di personalità aperte alla dimensione di un mondo globalizzato e nello stesso tempo progettualmente capaci di assumere il proprio compito per umanizzare strutture e rapporti sociali.

Il nome di “Volontariato Internazionale per lo Sviluppo” assume pienamente il suo significato non solo nelle centinaia di persone che regalano anni di vita al servizio dei Paesi Poveri, ma soprattutto nel coinvolgimento di larghi strati di società civile in questa mentalità di impegno per i valori evangelici: pace, giustizia, diritti umani, accoglienza del migrante…

Le attività sono principalmente indirizzate alla produzione di strumenti che rendono possibile il contatto con i giovani e la loro formazione. Gli strumenti informatici e più in generale i mezzi di comunicazione attuali ci permettono di raggiungere e di formare le persone nel loro ambiente di vita. Per questo ci sembra di poter affermare che stiamo gestendo un “Centro Giovanile salesiano virtuale” che raggiunge anche le persone che sono all’esterno delle strutture salesiane.

Ricchezze umane provenienti dal lavoro nel settore educativo

Grazie al servizio di ottimi collaboratori nella sede centrale e di laboriosi soci nei Comitati regionali, il VIS è in collegamento vivo e stimolante con molte realtà. L’orizzonte è ormai quello del mondo intero.

È presente con progetti e volontari in 48 Paesi Poveri, crea sinergie e costruisce rete con le altre ONG e procure del mondo salesiano: è tra i fondatori del DBN, Don Bosco Network, che gestisce un budget annuo di circa 40 milioni di Euro a favore dello sviluppo umano e sociale dei giovani poveri nei 130 Paesi in cui sono presenti i Salesiani di Don Bosco.

Intesse rapporti progettuali e operativi con Enti finanziatori come l’Unione Europea, il Ministero Affari Esteri, la CEI, la Caritas Italiana.

Partecipa agli incontri di settore con Associazioni e Federazioni e a Reti nazionali per le attività di advocacy: Associazione delle Ong, CISD (Comitato Italiano Sostegno a Distanza), Tavola per la Solidarietà, Pididà (Per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza), Rete Lilliput, Palestinaonline (sito Web della Piattaforma Palestina) Piattaforma Nazionale EaS, Coalizione mondiale contro la povertà.

Ha dato vita ad un consorzio di solidarietà: AGIRE, l’Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze che raggruppa alcune tra le più importanti ed autorevoli ONG presenti in Italia che hanno scelto di unire le forze per rispondere in modo tempestivo alle gravi emergenze umanitarie.

Partecipa con riflessioni e proposte operative ai dibattiti sui diritti umani riguardanti in particolare i minori, minori emigranti non accompagnati, minori lavoratori, minori sfruttati, minoranze etniche, sostegno a distanza.

Ma la ricchezza più significativa è il contatto con i giovani e gli adulti: sul territorio italiano vengono gestite dai Comitati scuole di mondialità a cui partecipano centinaia di giovani adulti, che dopo un anno di preparazione vengono accompagnati nei Paesi Poveri per un mese di formazione alla scuola dei poveri.

Da queste esperienze, quasi un vivaio di solidarietà, fioriscono le candidature al volontariato internazionale che hanno permesso in questi quasi 25 anni di inviare più di 350 persone, professionalmente preparate, che per un minimo di due anni hanno svolto il loro servizio accompagnando il cammino dello sviluppo umano dei Paesi Poveri.

La formazione a più largo raggio è garantita in Italia da settimane di Educazione alla Mondialità, giunte alla XVII edizione, dal sito www.volint.it, vera miniera culturale visitato da più di 100.000 persone ogni mese, dalla scuola on-line del sito volint che con i suoi corsi ha già dato attestati a più di mille persone.

Ancora: la rivista Un Mondo Possibile che raggiunge 30.000 famiglie con i suoi contenuti che aprono ad una visione realistica e solidale delle complesse vicende geopolitiche che coinvolgono tutti noi; la collana di libri “Cittadini del Mondo” edita in collaborazione con la SEI punto di riferimento per il settore avendo già pubblicato 8 volumi; la realizzazione di documentari missionari e spot televisivi; due mostre fotografiche itineranti che stanno percorrendo le principali città italiane.

Una particolare attenzione l’abbiamo avuta per i giovani universitari: per primi in Italia abbiamo dato vita al primo Master in Cooperazione allo sviluppo presso l’Università di Pavia, che ora è collegato con il MICAD – Master in International Cooperation and Development dell’Università di Betlemme; e con il MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, abbiamo firmato una convenzione per studi, ricerche, inchieste, interventi, gemellaggi nel mondo della scuola.

Sulla scia di una nuova visione strategica affermatasi dalla fine degli anni Novanta nell’ambito della progettualità per lo sviluppo (Human rights based approach to development), il VIS ha adottato nei propri interventi l’approccio metodologico basato sui diritti umani e sull’ampliamento delle capacità e non più soltanto sui bisogni.

I diritti umani non sono un premio per il raggiungimento di un certo livello di sviluppo economico, ma un mezzo per contribuire allo sviluppo umano così come lo sviluppo è un mezzo per garantire un godimento effettivo e duraturo dei diritti umani.

Per il VIS la cooperazione allo sviluppo non deve cercare di soddisfare, calando soluzioni dall’alto, solo i bisogni materiali delle persone: deve lavorare affinché i diritti umani – universali, indivisibili ed interdipendenti – siano riconosciuti, garantiti ed effettivamente goduti.

L’impegno in questo settore continua a crescere: la promozione e la protezione dei diritti umani è inserita in modo trasversale nei progetti realizzati dal VIS nei PVS, è oggetto di campagne di advocacy e riceve un’attenzione privilegiata nella formazione e sensibilizzazione sul territorio.

L’educativo diventa evangelizzazione

La più grande ricchezza culturale che il VIS sta donando alla Congregazione salesiana e alla Chiesa italiana è la sintesi tra educativo e valori evangelici, tra analisi dei problemi mondiali e implementazione dei diritti umani, tra progettualità negli interventi di sviluppo umano e motivazioni etiche profonde negli operatori. È l’educativo impregnato dei valori evangelici che trasforma le attività di cooperazione allo sviluppo in quella che in campo ecclesiale è chiamata Animazione Missionaria (AM).

Il VIS come associazione nazionale ha scelto come suo compito primario di educare, cioè: INFORMARE – FORMARE – METTERE IN RETE tutti i giovani che può raggiungere per mezzo dei Comitati VIS sul territorio delle Ispettorie. Ma in questo impegno educativo si ispira alla dottrina sociale della Chiesa elaborando una nuova sintesi che affascina larghi strati di giovani. Questa sintesi nel linguaggio ecclesiale si chiama esattamente

Animazione Missionaria

L’esperienza acquisita in tanti Paesi Poveri, nelle molteplici attività e negli approfondimenti culturali gli permette di sensibilizzare ai problemi dell’umanità (Educazione alla Mondialità), di proporre sbocchi operativi di servizio caratterizzati dal carisma di Don Bosco (promozione umana), di formare mediatori culturali e volontari che diventano annunciatori dei valori evangelici e perciò operatori di Pace (evangelizzazione).

È questa l’AM “di qualità” che proponiamo a tutte le comunità salesiane ed ecclesiali italiane. In questa visione il VIS diventa lo strumento idoneo a servizio del lavoro educativo e quindi della formazione delle persone che è il cuore della AM.

Potremmo dire che l’AM è il contenuto educativo e carismatico dell’Organismo e il VIS è il volto pubblico, sociale, civile dell’impegno salesiano per la promozione del laicato nell’opera di evangelizzazione e umanizzazione in favore dei giovani emarginati dei Paesi Poveri.

Nei momenti formativi interni amiamo parlare di AM VIS come un’unica realtà, come una medaglia con due facce: AM che esplicita la chiamata al servizio che scaturisce dal Battesimo e VIS che offre concreti progetti di sviluppo umano valorizzando la professionalità degli individui. Tutto questo ha un solo scopo: aiutare i giovani a «vivere il Vangelo servendo le persone e la società».

Il Congresso mondiale su “Sitema preventivo e Diritti Umani”

Il VIS, sostenendo l’idea del Dicastero di Pastorale Giovanile, due anni fa si è fatto promotore presso il Rettor Maggiore dell’organizzazione di un Congresso mondiale su Sistema Preventivo e Diritti Umani. L’obiettivo è quello di contribuire al processo di riattualizzazione del sistema preventivo di Don Bosco attraverso la sensibilizzazione degli operatori ed educatori salesiani per promuovere il loro impegno nell’educazione ai diritti umani, quale via privilegiata per la formazione e l’educazione integrale dei giovani di oggi.

Il Congresso si è svolto dal 2 al 6 gennaio 2009 a Roma.

Promuovere i diritti umani, in particolare quelli dei minori, è la via salesiana per la promozione di una cultura della vita e del cambiamento delle strutture. Il Sistema Preventivo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale: vuole collaborare con molte altre agenzie alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e visioni di vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di condivisione gratuita e di impegno per la giustizia e la dignità di ogni persona umana.

L’educazione ai diritti umani, in particolare ai diritti dei minori, è la via privilegiata per realizzare nei diversi contesti questo impegno di prevenzione, di sviluppo umano integrale, di costruzione di un mondo più equo, più giusto, più salubre. Il linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e l’inserimento della nostra pedagogia nelle differenti culture del nostro mondo” (dai contenuti fondamentali della Strenna del Rettor Maggiore per il 2008).

www.donbosco-humanright.org

Il portale Don Bosco Human Rights è lo strumento operativo ideato in occasione del Congresso Sistema Preventivo & Diritti Umani per avviare il cammino di sintesi tra Sistema Preventivo e Diritti Umani e condividere e valorizzare gli sviluppi che seguiranno.

Obiettivi del portale:

Area d’intervento: Educazione e Formazione

Non è immaginabile per il VIS un’azione di cooperazione con i Paesi poveri volta al cambiamento dell’attuale situazione di squilibrio e ingiustizia tra Nord e Sud del mondo senza un’adeguata azione volta a sensibilizzare ed educare la società civile del nostro Paese ad una cultura della solidarietà internazionale, dei diritti umani, dell’intercultura, della pace, della tutela e promozione della biodiversità. I destinatari prioritari di tale azione sono da una parte il mondo salesiano (scuole, oratori, comitati, gruppi di appoggio, ecc.), dall’altra la scuola, i formatori, i giovani universitari, gli adulti e l’opinione pubblica in generale.

Tale azione è del tutto coerente con l’obiettivo dell’Animazione Missionaria del territorio, che il VIS svolge da oltre 20 anni, presentandosi sempre più come una “Agenzia educativa“. Un Organismo, cioè, che fa dell’educazione la sua specificità, la sua caratteristica essenziale nonché il suo principale obiettivo, ispirandosi al sistema cristiano di valori disegnato da Don Bosco di solidarietà concreta verso gli ultimi (soprattutto verso i bambini e i giovani), unito a quello laico del primato della persona e dei diritti umani.
Il VIS lavora, nei Paesi in via di sviluppo preoccupandosi di offrire opportunità educative e formative attraverso programmi di cooperazione internazionale per:

Area d’intervento: Acqua e Sanità

Nel 2002-2003, a seguito di una grande siccità – con conseguente carestia – in Etiopia, il VIS ha cominciato a lavorare nel settore idrico-sanitario, al fine di garantire alle comunità locali con cui già lavorava in ambito educativo le giuste condizioni di base per l’ampliamento delle proprie opportunità di sviluppo e la prosecuzione dell’impegno educativo: l’accesso all’acqua è considerata, in questo senso, tra le priorità.

Numerosi pozzi e punti di distribuzione d’acqua sono stati realizzati in Eritrea ed Etiopia, in diverse regioni, soprattutto nelle aree e nei villaggi più remoti.
Grazie al sostegno di donatori privati e pubblici, il VIS continua in questa opera, estendendo gli interventi non solo all’approvvigionamento idrico ma anche alla salute e all’agricoltura a conduzione familiare, realizzando latrine private e comunitarie, inceneritori, piccoli impianti di irrigazione, cisterne, ecc.

Area d’intervento: Microfinanza e Sviluppo Socio-Economico

Il forte radicamento nel territorio del VIS, ottenuto dopo un lungo periodo in cui si è lavorato al fianco della popolazione locale prevalentemente in campo educativo/formativo, consente di poter rispondere in maniera adeguata anche al bisogno delle comunità locali di migliorare le proprie condizioni socio-economiche.

In tale ambito riveste particolare importanza l’avvio di attività connesse alla Microfinanza e allo Sviluppo socio-economico di settori formali e informali.
Con il micro-credito si permettere l’accesso al credito al fine di avviare o sostenere attività produttive anche a soggetti che sarebbero esclusi dai circuiti “classici”, accompagnandoli con una formazione e un sostegno continuo nella gestione dei fondi. Tale attività non può avere efficacia senza una conoscenza approfondita della realtà locale, della vita quotidiana delle famiglie e dell’effettivo ruolo che hanno nella comunità le istituzioni pubbliche.
L’ambito di utilizzo del microcredito generalmente riguarda le produzioni agrarie, l’incremento del numero di capi di bestiame, l’acquisto di impianti per la trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, la ristrutturazione e l’allestimento di immobili destinati alla produzione o al turismo, attività collegate al turismo rurale e di montagna e attività artigianali.

Altre attività di sviluppo socio-economico condotte dal VIS in diversi Paesi sono costituite dall’avvio di microimprese e dal loro sostegno; dalla creazione di Uffici Formazione-Lavoro con funzioni di orientamento e job placement; dalla creazione di imprese sociali per l’occupazione di soggetti svantaggiati; dal supporto e accompagnamento di imprese senza scopo di lucro, ma orientate alla sostenibilità dei centri di formazione attraverso attività produttive e l’erogazione di servizi.

Area d’intervento: Biodiversità

L’impegno del VIS per la tutela e la valorizzazione della Biodiversità si definisce e assume una prima e importante concretizzazione attraverso un programma di sviluppo realizzato nell’Amazzonia ecuadoriana tra il 1998 e il 2009.

Fondamento di questo programma, è guardare alla biodiversità non solo come ad un valore assoluto da preservare e salvaguardare, ma al contempo come ad una risorsa da valorizzare nell’ambito di iniziative per il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali (comunità indigene).

Per realizzare questo obiettivo le risorse biologiche della foresta diventano oggetto di studio (componente didattica del programma) e oggetto di trasformazione (componente produttiva). Rispetto alla prima componente sono stati organizzati corsi di livello universitario per favorire la conoscenza delle risorse, le loro proprietà e i loro utilizzi, conciliando conoscenze tradizionali e conoscenze tecnologicamente più avanzate: sono state dunque formate figure tecniche specializzate in grado di promuovere lo sviluppo delle proprie comunità con riferimento alla gestione delle risorse biologiche. Rispetto alla seconda componente, in collaborazione con la Fondazione Chankuap di Macas (Ecuador), sono state supportate le varie tappe (produzione, trasformazione e commercializzazione) di filiere agroalimentari e cosmetiche collegate alle risorse amazzoniche. Sono state così offerte opportunità lavorative, equamente retribuite, alle popolazioni dell’area di intervento favorendo al contempo la capacità riproduttiva delle risorse.

I risultati di questa iniziativa sono stati così rilevanti da determinare, nel 2007, la richiesta da parte delle federazioni indigene Achuar dell’Amazzonia del Perù di un intervento speculare nel loro territorio. Dopo due anni di studio e di fattibilità per identificare una strategia analoga ma contestualizzata ed adattata, lo scorso anno è stata avviata anche in Perù un’iniziativa in questo ambito.

Area d’intervento: Diritti Umani

Negli ultimi anni l’Unione Europea ha recepito il bisogno di individuare uno strumento per la democrazia e i diritti umani attraverso il quale erogare assistenza, nell’ambito delle politiche comunitarie di cooperazione allo sviluppo e di cooperazione economica, tecnica e finanziaria con i paesi terzi, coerente con la politica estera complessiva dell’Unione Europea, contribuendo allo sviluppo e al consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, alla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Questo strumento prende il nome di European Initiative for Democracy and Human Rights (EIDHR).

L’obiettivo è quello di favorire un maggior rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nonché la loro osservanza, così come proclamato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e in altri strumenti internazionali e regionali in materia.
Promuovendo e consolidando la democrazia e le riforme democratiche nei paesi terzi, principalmente mediante il sostegno alle organizzazioni della società civile, l’Unione Europea vuole:

I paesi nei quali in VIS ha realizzato progetti focalizzati sull’ educazione ai diritti umani e progetti cd. EIDHR sono:

Si rileva altresì che sulla scia di una nuova visione strategica affermatasi dalla fine degli anni Novanta nell’ambito della progettualità per lo sviluppo (Human rights based approach to development), il VIS ha adottato nei propri interventi l’approccio metodologico basato sui diritti umani e sull’ampliamento delle capacità e non più soltanto sui bisogni. Obiettivo fondamentale è che i diritti umani attraversino trasversalmente la progettualità del VIS.

Area d’intervento: Emergenza – Riabilitazione – Ricostruzione

Gli interventi di emergenza si caratterizzano solitamente in interventi tempestivi a favore di popolazioni colpite da un disastro naturale inatteso o dal precipitare di un evento bellico o dalle due circostanze congiunte. I tempi del progetto di emergenza sono generalmente molto ristretti: l’intervento deve essere approntato nel volgere di 24 ore, o al più in qualche giorno.

Il VIS non crede nell’efficacia di aiuti di emergenza fini a se stessi, che pur essendo indispensabili in quanto volti a salvare vite umane, se non orientati ab origine a processi di sviluppo, rischiano di rimanere sterili, insostenibili e talora permanenti. Per questo il VIS si definisce principalmente come una ONG di sviluppo e non ricerca opportunità per condurre progetti di emergenza. Eppure spesso è l’emergenza a bussare, violenta, alle porte delle comunità e delle città nelle quali operano il VIS e i Salesiani, e di fronte ad essa non è possibile chiudere gli occhi.

La storia recente, periodicamente, ci ha consegnato drammatiche responsabilità, cui abbiamo risposto con impegno e passione, dai profughi in fuga dal Kosovo devastato dalla guerra nel 1999, ai bambini orfani e agli sfollati di Goma, località della Repubblica Democratica del Congo martoriata dalla guerra dei Grandi Laghi, alle gravi carestie in Etiopia e in Eritrea, alle drammatiche conseguenze dello tsunami del 26 dicembre 2004 nel Sud-est asiatico e a quelle dei cicloni abbattutisi in Bangladesh. Più di recente abbiamo operato nelle continue crisi della Palestina e del Libano, nel post-terremoto che ha distrutto Haiti e nelle alluvioni che hanno devastato il Pakistan.

Quando è l’emergenza a bussare alle nostre porte non rispondiamo avendo unicamente l’obiettivo di rispondere ai bisogni contingenti, ma cerchiamo sempre di garantire le condizioni per la sopravvivenza e la ricostruzione affrontando contestualmente le condizioni strutturali di ingiustizia e diseguaglianza, promuovendo i diritti fondamentali, l’uguaglianza e la dignità delle persone.

5. IL VOLONTARIATO NELLA STRUTTURA DELLA CONGREGAZIONE SALESIANA, OGGI

(dagli appunti di Don Vaclav Klement)

Il DNA delle Procure e ONG missionarie salesiane: Il cuore missionario di Don Bosco e sua missione giovanile, vocazionale, comunicativa ed missionaria ad gentes. La solidarietà missionaria è legata a tre eventi iniziali complementari tra di loro:

1875 – 1° spedizione missionaria (Giovanni Cagliero + 9 SDB, Argentina)

1876 – L’approvazione ufficiale dei Cooperatori Salesiani (Regolamento)

1877 – Fondazione del Bollettino Salesiano (come legame dei Cooperatori, come sostegno per la missione e per le Missioni salesiane nel mondo)

La nascita e crescita delle Procure missionarie al livello internazionale (1947 – New Rochelle, 1969 – Madrid, 1985 – Bonn, 1990 – Torino, 2009 – Delhi), al livello Ispettoriale uno sviluppo accelerato dal Progetto Africa (1978-2003).

La nascita e crescita delle ONG missionarie – per lo sviluppo(1969 –Terra Nuova, Italia – lanciata dal Retor Maggiore, Don Ricceri), ora presenti in tutti i 5 continenti ai vari livelli (locale, ispettoriale, internazionale) in varie forme.

Abbiamo alcune esperienze negative (quando influiscono le ideologie, ricerca sproporzionata dei fondi, la struttura della ONG diventa difficile da auto sostenersi).

ONG: uno dei campi significativi del “coinvolgimento e formazione dei laici nella missione salesiana” (cfr. CG24, 1996) in quasi tutte le Ispettorie.

Inizio del coordinamento nel campo della solidarietà missionaria (1984: Procure missionarie; 1984 – Raduno annuale dei Procuratori missionari coordinato dal Consigliere per le missioni, 2003 – fondato ufficialmente il Don Bosco Network (EEIG) delle ONG per le missioni, 2010 il DBN rifondato come una Federazione mondiale, 6+2 membri fondatori)

Cammino verso i sistemi di solidarietà per le missioni negli ultimi 10 anni

2002 – Regolamento, art. R 24 rinnovato (sinergia istituzionale tra le missioni ed economia)

2002 – ANS mag n.104: Procure e ONG missionarie e solidarietà- un mondo da apprezzare

2003 – Giornata Missionaria Salesiana: Promozione umana nel compito di evangelizzare

2003 – Fondazione ufficiale del ’Don Bosco Network’ (6 ONG- EU per le missioni/sviluppo)

2005 – Project Development Office (PDO) Seminario a Roma (sinergia Missioni-Econ-PG)

2008.12 – Inizia il cammino verso i ‘Sistemi nella solidarietà per la/le Missione/i salesiane’

2009 – Raduni: Procure missionarie (G4 – Marzo: RM; South Asia – Giugno; Locali – Nov)

2010 – Don Bosco Network: rifondazione (7 ONG: Federazione mondiale, sede: Roma, Via Marsala 42)

2010 – Seminario per le ONG missionarie – per lo sviluppo (Ottobre 2010)

2011 – Seminario per le PDO (previsto Novembre 2011, India)

Tipologia

ONG che lavora almeno al livello Ispettoriale (= non solo per un’ opera salesiana).

ONG che lavora con gli obiettivi per le Missioni Salesiane o per lo sviluppo (con accesso ai fondi pubblici, coinvolto nel volontariato, lobby e advocacy, con il proprio fundraising, educazione e formazione alla solidarietà e sviluppo al livello civile …).

ONG riconosciuta o fondata dalla Congregazione Salesiana come tale, oppure una ONG d’ispirazione salesiana (fondazione ispirata dagli SDB, lavora in forma autonoma).

ONG delle Ispettorie nei paesi delle missioni, che gestiscono una PDO, oppure servono come un’interfaccia con gli enti governativi, civili sia nazionali, sia all’estero.

Ci sono molte diverse realtà interessate ad attività simili nel campo della raccolta fondi, conduzione dei progetti e attività collaterali, sorge il bisogno di avere un quadro dei diversi organi di servizio nelle Ispettorie salesiane (cfr. Seminario sul Planning and Development Office, Roma, 2005).

Alcuni termini in uso:

1. Ufficio Propaganda: Un ufficio per raccolta fondi fu iniziato dai missionari. Il metodo usato ancora oggi è di mantenere corrispondenza personale con i benefattori, informandoli sulle attività e facendone conoscere i costi finanziari. Molte Ispettorie hanno uno o più Uffici di Propaganda a livello ispettoriale.

2. Ufficio Missioni: A poco a poco si sentì il bisogno di organizzare meglio questi uffici di propaganda e di venire incontro agli interessi dei missionari. Le funzioni più importanti dell’Ufficio Missioni sono la raccolta fondi e far conoscere le attività salesiane. Ciò viene realizzato scrivendo lettere e pubblicando materiale sul lavoro missionario in genere. Queste attività offrono una pubblicità positiva per la Congregazione. Alcuni Uffici Missioni servono singole Ispettorie, altri hanno un raggio internazionale e per tutta la Congregazione.

3.Procura missionaria: Altri servizi per il lavoro missionario si sono aggiunti alle attività tradizionali dell’Ufficio Missioni. Le attività intraprese dalle Procure sono: procurare e spedire beni alle missioni, sovrintendere alle formalità d’importazione, lavoro amministrativo, assistenza ai missionari, animazione missionaria, volontariato missionario. In alcuni casi la Procura fonda un’ONG come un ramo civile; la stessa Procura è riconosciuta come una ONG.

4.Ufficio Progetti: il bisogno di tale Ufficio sorse per scrivere progetti che potevano ottenere finanziamento pubblico. In parecchie Ispettorie sono operanti tali Uffici per curare gli aspetti tecnici nella stesura e nella presentazione di Progetti che richiedono un finanziamento.

5.Ufficio Sviluppo: Agenzie per finanziamenti richiedono progetti da situare in un programma globale di sviluppo. Tali Uffici per lo Sviluppo iniziarono come Uffici Progettazioni e in seguito estesero le loro attività alla progettazione strategica, alla programmazione per lo sviluppo e a prendere un atteggiamento attivo sulla questione dello sviluppo a livello ispettoriale. Uffici per lo Sviluppo sono conosciuti con nomi diversi nelle varie Ispettorie.

6.Ufficio Programmazione e Sviluppo (PDO): Non si può restringere lo sviluppo all’area economica e al progresso materiale; esso deve abbracciare anche lo sviluppo integrale umano e sociale. Essendo la programmazione un aspetto importante dello sviluppo inteso in questo senso, noi preferiamo chiamare l’Ufficio Sviluppo: ‘Ufficio di Programmazione e Sviluppo, che serve l’intera Ispettoria in sinergia con gli altri organi ispettoriali di animazione e di governo. Attività come raccolta fondi, stesura di progetti, ecc. possono essere integrate nella PDO. Si deve promuovere una sinergia tra i diversi settori dell’Ispettoria, sì da condividere l’esperienza umana e le risorse finanziarie tra tutti gli interessati. Molti dei PDO sono registrati secondo la legge civile come ONG.

7.Le ONG per lo sviluppo/ per le missioni – create dalle diverse Ispettorie negli ultimi 30 anni, come interfaccia della Congregazione salesiana (per le missioni) con i governi, altri enti civili, sociali, provinciali – nazionali – internazionali. A secondo delle leggi nazionali cambia leggermente la posizione giuridica (cfr. diversi Statuti, diverso modo di operare). Agli inizi sono state fondate per poter accedere ai fondi pubblici come un ente civile, aiutando i progetti sociali, educativi nelle missioni ed il volontariato internazionale. Dopo hanno sviluppato le attività di educazione allo sviluppo e solidarietà, Advocacy – Lobby, comunicazione, coinvolgendo altri civili (fondazioni, imprese, governi locali, reti delle ONG).

3.3 Servizi offerti dalle ONG missionarie/ per le missioni – uno schema possibile

Organizzazione delle ONG per le missioni – per lo sviluppo
Fundraising – ricerca dei fondi (privati, pubblici, attraverso diverse fondazioni)
Progetti svolti nelle missioni (aiuti finanziari, progetti accompagnati con volontari …)
Aiuto diretto per le opere missionarie: di tipo educativo – sociale, non pastorale
Animazione Missionaria: in largo senso (interventi nelle scuole, comunicazione sociale)
Educazione allo sviluppo: formazione online, DVD, foto, diverse fondazioni secondarie, sussidi didattici per i giovani
Volontariato (missionario, cooperanti – progetti accompagnati) a lunga durata
PDO: aiuto per la fondazione ed accompagnamento delle PDO, formazione del personale
Lobby – Advocacy: Attraverso le relazioni pubbliche, per i diritti umani dei giovani
Personale delle ONG: SDB, Volontari, Esperti, Lavoro in rete) e loro formazione

3.4. Filosofia della solidarietà delle ONG (sviluppate nella storia, diverse concezioni)

1º Modello (DARE) – Inizialmente si pensava (ma lo è ancora necessario in molti casi), che bastava “dare”, “inviare beni materiali” verso i luoghi che ne hanno bisogno: denaro, creazione delle strutture educative – sociali. I Salesiani dell’Occidente ricco (America, Europa) hanno dunque cercato i mezzi per inviare aiuti ai paesi più poveri, per sollevare tante miserie e per sviluppare la causa missionaria.

2º Modello (ORGANIZZARSI) – Poi si è pensato che i beni materiali inviati devono aiutare i destinatari a crescere e a liberarsi da tante situazioni di povertà, che non consentono una vita secondo il piano di Dio. Vari paesi del “Mondo in Via di Sviluppo” si sarebbero potuti organizzare meglio al loro interno,nella ricerca di un auto-sostentamento che potesse far vivere le loro Opere senza essere obbligati a tendere sempre la mano. Si trattava dunque di educare allo sviluppo locale e personale. Quindi comincia l’accompagnamento di alcuni progetti da parte dei volontari o cooperanti inviati dalle ONG missionarie.

3º Modello (PIANIFICARE con intelligenza) – Da più di 15 anni, si cerca di sostenere sempre più gli “Uffici di Programmazione e Sviluppo” (PDO) che studiano e organizzano lo sviluppo dell’Ispettoria [=Piano organico ispettoriale], suggerendo e seguendo i progetti, studiando soluzioni per problemi locali, utilizzando uomini e risorse che si trovano sul posto. Il gruppo delle grandi Procure e delle ONG internazionali sostiene anche economicamente la creazione e il funzionamento di questi Uffici.

4º Modello (COORDINARE LAVORANDO in rete) Negli ultimi dieci anni abbiamo visto un movimento verso una solidarietà più coordinata, cresciuta nella rete delle procure e ONG salesiane, e’stato fondato il DB Network, prima al livello europeo, successivamente al livello mondiale (2010).

5° Modello (Promuovere una CULTURA DELLA SOLIDARIETÁ) Di fronte al rischio di società che avvertono sempre più la paura del “diverso”, e che si chiudono nei propri interessi, occorre promuovere una cultura anzitutto del rispetto e poi della accoglienza, basi di una solidarietà evangelicamente ispirata. Alcune attività si aggiungono: educazione – formazione alla solidarietà che raggiunge diversi spazi della società, lobby e advocacy (diritti umani in chiave del sistema preventivo), comunicazione sociale.

6. CONCLUSIONI

Qui di seguito, alla luce di quanto esposto sopra, sintetizzo alcuni elementi e questioni sulle quali conviene riflettere e tenere in debita considerazione nella promozione del volontariato.

1. Gratuità

E’ importante ribadire il carattere laicale della esperienza di volontariato. Questo vuol dire che il laico che decide di dedicare parte della sua vita alla solidarietà totale verso chi è in stato di bisogno, ha bisogno del “necessario” per vivere: non è un religioso inserito in una Comunità fraterna che provvede ai suoi bisogni. Allora la gratuità non è da intendersi in termini economici, bensì nella disponibilità di rispondere in “toto” con la propria vita, con la proprio professionalità e know-how alla chiamata per la costruzione di un mondo migliore.

2. Laicità

La formazione al volontariato fa emergere con forza la “vocazione” laicale di servizio al prossimo e alla comunità. In questo contesto facciamo esplicito riferimento al Magistero della Chiesa, ed in particolare ai documenti conciliari e alla “Christifideles Laici”.

Questo elemento della laicità va tenuto costantemente in considerazione durante la formazione, soprattutto nella formazione permanente. Il laico che sarà volontario, non avrà fatto i voti di seguire i “consigli evangelici”, eppure il “volontario salesiano” lavorerà gomito a gomito con dei religiosi. E’ assolutamente opportuno un profondo discernimento sulla complementarietà del servizio tra laici e religiosi: questo si attua con la reciproca conoscenza di ciò che è il significato, anche pratico, del rispettivo “status”, e quindi della condivisione incondizionata della stessa “missione”.

3. Organizzazione

Il volontario si inserisce in una struttura organizzata di volontariato. Questa (l’Organizzazione/Associazione di volontariato) non è un “optional”, bensì permette al volontario di essere inserito in un gruppo/comunità composta da tante altre persone che condividono le stesse finalità e scelte, quindi di non essere da solo nel cammino. Ma l’Organizzazione serve soprattutto ad indirizzare le forze del volontario verso l’obiettivo ultimo del Volontariato che è quello della “trasformazione delle cause che generano l’ingiustizia”. La “vocazione personale” si coniuga con delle scelte sociali e politiche. Partire dal bisogno dell’altro, vuol dire innanzitutto cercare di tutelare i suoi diritti umani che non sono rispettati. Questo porta ad un partenariato profondo, sia di natura personale che di natura sociale, tra il volontario ed i destinatari della sua azione.

4. La Professionalità

La complessità della formazione al volontariato, soprattutto se intesa come un “processo” di accompagnamento personale alla scoperta “vocazionale”, richiede una forte professionalità dei formatori, e quindi una qualità non trascurabile della formazione stessa. Bisogna dedicare energie e mezzi di valore al processo formativo se si vogliono avere dei volontari all’altezza della situazione.

La Formazione Cristiana

La formazione cristiana per il volontariato di stile salesiano è centrale, anche se non possiamo dimenticare le zone ed i Paesi del mondo, dove le Comunità SDB operano, che sono ancora scarsamente o per nulla evangelizzate: eppure, in questi Paesi, il volontariato rappresenta, attraverso la diaconia sociale, una maniera per annunciare Cristo.

La formazione cristiana deve puntare soprattutto a far riscoprire nel volontario la vocazione alla “missione” che gli proviene dalla forza battesimale,e quindi fondare tutto il proprio operato sulle solide basi evangeliche. Questa parte della formazione deve certamente tenere conto del punto in cui si trova il singolo candidato al volontariato, e necessita, oltre che dei momenti istituzionali di formazione, di un accompagnamento personale.

La Formazione “Salesiana”

L’esperienza di questi anni ci inducono a porre l’accento su un rafforzamento degli aspetti più tipicamente salesiani durante l’iter formativo. Infatti, nel mondo occidentale più ricco, sono molti i giovani che esprimono il desiderio di fare la scelta del volontariato, ma anche quando questi sono di fede cristiana (e non sempre è così), nella maggioranza dei casi non provengono da ambienti salesiani e conoscono a mala pena la figura di Don Bosco soltanto grazie alla sua fama.

In questi casi è fondamentale insistere su una formazione salesiana: storia, metodo e prassi educativa, spiritualità giovanile salesiana, missionarietà salesiana, aspetti istituzionali, il carisma, ecc..

Comunione e Condivisione della Missione

Il volontariato salesiano deve avere come uno dei suoi obiettivi (forse il più importante) la comunione e la condivisione tra laici (i volontari) e salesiani nella missione di Don Bosco. Servire i giovani, soprattutto i più poveri, per renderli “buoni cristiani e onesti cittadini”: questo, ovunque essi si trovano, anche al di là dei “cancelli” delle Opere salesiane.

In questo caso la formazione deve mirare a fare in modo che i laici comprendano e rispettino la dimensione religiosa della Comunità Salesiana, anche se questo non vuol dire rinunciare a portare in dono al PEPS la propria specificità laicale. E’ un problema di formare in vista di una non sempre facile convivenza tra laici e salesiani, che a volte può compromettere il raggiungimento del suddetto obiettivo.

Le difficoltà si possono anche spostare dal livello personale del rapporto, ossia tra il volontario/i e singoli componenti della Comunità SDB, ad un livello più istituzionale, ossia tra l’Organizzazione di Volontariato e la stessa Comunità SDB.

La Formazione dei Salesiani

Un ultimo punto riguarda anche la formazione dei salesiani religiosi alla reale accoglienza dei volontari dal punto di vista umano, spirituale, operativo, ma soprattutto come dei veri protagonisti del PEPS, Progetto Educativo Pastorale Salesiano e della CEP, Comunità Educativa Pstorale. Il lungo e faticoso cammino della formazione dei volontari “salesiani” può essere anche compromesso se la Comunità che accoglie non è disposta a dare spazio oppure se non si fa carico dell’accompagnamento dei volontari stessi (che risulta essere poi una ulteriore tappa del percorso di formazione permanente al volontariato): in particolare se accettiamo il postulato che il volontario non è colui che fa, ma è colui che è. In questo caso, essendo la scelta della solidarietà una scelta definitiva, è fondamentale non far essiccare una pianta che potrebbe dare frutti per tutta la vita, ben oltre il periodo temporale del “volontariato ufficiale”.

Per un servizio ai giovani che chiedono di fare volontariato

  1. Offrire ai giovani italiani orientati verso la solidarietà internazionale una seria e profonda occasione formativa e di crescita personale che consenta loro di sperimentarsi come operatori di cooperazione internazionale in Italia e all’estero e che li orienti eventualmente verso definite scelte di vita e professionali.

  1. Educare i giovani alla progettualità. L’inserimento in seno ad iniziative di solidarietà internazionale, prevede la sperimentazione di diverse e fondamentali fasi: dallo studio di fattibilità e l’ideazione, alla realizzazione e la valutazione. Coinvolgere un giovane in questo tipo di attività significa educarlo alla progettualità, alla considerazione delle risorse a disposizione e al confronto con gli altri attori coinvolti.

  1. Promuovere fra i giovani italiani una cultura della Pace, della Mondialità e della Solidarietà Internazionale, sensibilizzandoli a tali tematiche e proponendo loro lo svolgimento del Servizio Civile nell’ambito della Cooperazione Internazionale. Gli stessi ragazzi\e al termine del loro periodo di servizio, diverrebbero i principali canali di sensibilizzazione per il coinvolgimento di ulteriori risorse umane.

  1. Accompagnare i giovani in Servizio Civile e dotarli di particolari strumenti anche al termine del loro servizio perché divengano efficaci operatori di Educazione allo Sviluppo in Italia. In particolar modo nei casi in cui parte dell’esperienza avvenga all’estero dovrà essere previsto un serio programma di rielaborazione del vissuto che consenta la più efficace e positiva forma di testimonianza.

  1. Agire in maniera incisiva nell’ideare e proporre percorsi di educazione interculturale e educazione alla mondialità di cui i ragazzi\e in Servizio Civile, possano esserne da un lato fruitori, dall’altro protagonisti attivi e testimoni.

  1. Contribuire alla promozione di una cultura di pace in Italia attraverso l’inserimento di ragazzi\e in Servizio Civile in campagne di sensibilizzazione, ricerche, approfondimenti ed iniziative di Educazione allo Sviluppo relative appunto alle tematiche della costruzione della pace e della prevenzione della violenza; all’estero attraverso l’inserimento di ragazzi\e in servizio civile e OdC in seno a specifici progetti in zone di postconflitto in iniziative di ricostruzione. I giovani, dovutamente formati, seguiti e supportati dalla pluriennale esperienza degli Organismi in una determinata area geografica, potrebbero anche svolgere, in alcuni particolari casi, delicate funzioni di mediatori, forti anche del privilegiato rapporto con la popolazione locale.

Il Rettor Maggiore don Juan Vecchi, nel suo magistrale documento: «Si commosse per loro (Mc 6,34) Nuove povertà, Missione salesiana e significatività» ci dice:

«I giovani poveri sono un dono. I giovani poveri dunque sono stati e sono ancora un dono per i salesiani. Il ritorno ad essi ci farà recuperare il tratto centrale della nostra spiritualità e della nostra prassi pedagogica: il rapporto di amicizia che crea corrispondenza e desideri di crescere.

Oggi bisogna andare di nuovo oltre le strutture stabilite, oltre le cose da dare; bisogna uscire, fare un esodo mentale e pedagogico verso il rapporto, la presenza, la condivisione.
E’ questo l’atteggiamento fondamentale con cui il sistema preventivo realizza in termini educativi la sequela.

Gesù che piantò la sua tenda tra di noi, venne a cercare e salvare chi era perduto, si mescolò con i pubblicani e si sedette a tavola con i peccatori, si avvicinò a poveri e malati e fece di questi gesti i segni della sua missione di salvezza.

Il Regno di Dio si manifesta, cresce e si realizza tra i poveri perchè consiste tutto in una relazione gratuita che Gesù stabilisce e rinnova con coloro che non credono di avere meriti né davanti alla società né davanti a Dio.

A volte siamo troppo preoccupati di quello che noi possiamo dare o di quello che ci manca per agire, fino a diventare incapaci di scoprire le ricchezze che ci sono nei giovani, che essi possono mettere a frutto, con le quali veniamo noi stessi arricchiti. Il sistema preventivo ci obbliga a svuotarci di noi stessi e accogliere i doni che il Signore ci offre, soprattutto in coloro che sono più bisognosi e all’apparenza meno degni.»

Il Papa Paolo Giovanni II ha espresso chiaramente questo passaggio parlando si giovani il 4 settembre 1988 a Torino:

Quanto al vostro ruolo di giovani, dico semplicemente: siete indispensabili, non per quello che potete con le vostre sole forze umane, ma per quello che potete attraverso la fede nel Dio della pace che si fa cultura e impegno di pace.
Ma potrete essere ciò che gli uomini si attendono da voi, se oggi già vi decidete ad agire. Viste le situazioni, intervenite.
Il volontariato, fatto così meraviglioso del nostro tempo, è vivo tra noi.
Solo abbiate la purezza delle motivazioni che vi rende trasparenti, il respiro della speranza che vi fa costanti, l’umiltà della carità che vi rende credibili.
Oso dire che un giovane della vostra età che non dia, in una forma o in un’altra, qualche tempo prolungato al servizio degli altri, non può dirsi cristiano, tali e tante sono le domande che nascono dai fratelli e sorelle che ci circondano”.