Volontari italiani per gli altri popoli – di Don Ferdinando Colombo
Pubblicato in In Salesiani di Don Bosco in Italia – 150 anni di educazione – 2010 (a cura di don Francesco Motto)
INTRODUZIONE
Possiamo affermare che la nascita della stessa Congregazione Salesiana non è altro che la strutturazione giuridica e comunitaria delle scelte di volontariato del Fondatore e dei suoi primi collaboratori. L’interessamento per i ragazzi poveri ed emarginanti dell’ottocento è passato ben presto dalla commozione alla progettualità, dall’improvvisazione alla professionalità educativa, dal tempo libero al «tempo liberato» per essere totalmente disponibili al servizio: è nata così la Famiglia salesiana che ancora oggi sta operando una vastissima trasformazione sociale in 132 Paesi del mondo.
Il volontariato sociale, legato al territorio di appartenenza, si dilata irresistibilmente nel volontariato internazionale quando la motivazione dell’agire è la coscienza di avere una missione da svolgere e quando gli obiettivi sono valori umani che non conoscono frontiere.
Volontariato internazionale salesiano: quasi una storia
Nell’Italia salesiana degli anni ’60, nasce l’Operazione Mato Grosso (OMG) che attua una prima forma di volontariato con due caratteristiche molto precise che la collocano a cavallo tra il volontariato sociale e quello internazionale. L’obiettivo finale è l’aiuto ai poveri, quelli di casa nostra, ma superando i confini della propria nazione anche quelli di singole nazioni povere; infatti non è la dislocazione geografica, ma il grido dei più poveri a determinarne la diffusione. La seconda caratteristica è una componente di volontariato sociale perché i mezzi per aiutare i poveri devono provenire essenzialmente dal lavoro che gli aderenti fanno sul territorio nazionale. All’Operazione Mato Grosso è stato dedicato un altro capitolo di questo libro.
Sul finire degli anni ‘60 è proprio il Rettor Maggiore Don Luigi Ricceri che con scelta coraggiosa e profetica fonda il primo Organismo Non Governativo (ONG) salesiano italiano: Terra Nuova. Ai valori dell’Operazione Mato Grosso si aggiunge la progettualità, il cofinanziamento pubblico, ma soprattutto una collateralità con tutte le missioni salesiane. Ben presto però, Terra Nuova che non riesce a realizzare una autentica collaborazione tra consacrati e laici, è travolta dall’ideologia marxista e rinnega le sue origini, si stacca dalla Congregazione.
Proprio negli stessi anni, più modestamente, a Treviglio, Don Ferdinando Colombo dà origine agli Amici del Rwanda, che già nel titolo denunciano un’origine molto legata ad un caso particolare. E’ il passaggio dalle ideologie al partenariato: camminare insieme per liberarsi insieme. Questa ONG diventa il laboratorio salesiano in cui vengono concepite, sperimentate e consolidate le iniziative che ora costituiscono l’ossatura della Animazione Missionaria salesiana italiana: le esperienze formative estive, che oggi sono un cammino di educazione alla mondialità consolidato in tutte le Ispettorie italiane e il «volontariato fuori legge» che mette l’accento sulla maturazione vocazionale del singolo volontario più che sul tecnico necessario per realizzare un progetto. Il cambiamento più significativo rispetto ad altre ONG, costituite da un piccolo gruppo pensante di persone tecnicamente preparate che studiano e realizzano progetti di sviluppo, è l’allargamento dell’associazione al maggior numero di persone mediante una capillare educazione alla mondialità e allo sviluppo. E’ così possibile allargare la base associativa e raggiungere il maggior numero di persone possibile motivandole alla solidarietà internazionale. Spinta dall’ampiarsi del suo raggio d’azione che spazia dal Vietnam all’Argentina, il nome dell’associazione si trasforma in Amici dei Popoli.
E’ ancora un Rettor Maggiore, Don Egidio Viganò, a rilanciare orizzonti salesianamente più vasti: propone a tutta la congregazione la «frontiera Africa». Le Ispettorie si mobilitano generosamente quanto a confratelli e a risorse finanziarie, ma i laici non sono pronti.
E’ per questo che nel 1986 Don Angelo Viganò, che in quel periodo è il Superiore di un territorio vasto e composito che veniva chiamato Ispettoria Centrale, raccoglie tutti i rappresentanti della Famiglia Salesiana (SDB, FMA, Cooperatori, Ex-allievi), ma anche amici e benefattori, e fonda il VIS, Volontariato Internazionale per lo Sviluppo: una Organizzazione Non Governativa che è sintesi matura di nuova sensibilità sociale, di apertura alla mondialità, di collaborazione tra laici e consacrati, di impegno educativo salesiano e di sviluppo umano.
Nel 1988 il fondatore degli Amici dei Popoli è chiamato alla presidenza del VIS per vivificarlo e animare la missionarietà salesiana italiana. Tutte le esperienze fatte dagli Amici dei Popoli vengono riproposte all’Animazione Missionaria delle singole Ispettorie italiane, che rispondono sempre più intensamente, ma con ritmi diversi e alterne vicende molto legate sia all’avvicendarsi degli Animatori ispettoriali, sia alle vicende geopolitiche delle nazioni povere gemellate.
Una serie di Esperienze Educative
Alla scuola dei poveri: l’esperienza estiva di formazione, per un mese, in gruppo, è un’iniziativa di Animazione Missionaria che progressivamente coinvolge tutte le Ispettorie Salesiane italiane, con la partecipazione di 250-300 giovani ogni anno provenienti da tutta Italia.
Per un mese e dopo una specifica preparazione, giovani maggiorenni e adulti si recano in una missione salesiana di un Paese Povero per conoscere una cultura diversa in un atteggiamento di comunione e di scambio di ricchezze.
L’esperienza è aperta a tutti coloro che condividono i valori e l’ispirazione cristiani perché la crescita nella fede è uno degli obiettivi che si vuole raggiungere. Non è importante la professione che si svolge in Italia (requisito invece indispensabile per il volontariato internazionale) quanto avere ottimo spirito di adattamento, capacità di vivere in gruppo e buon equilibrio psicofisico. Per un mese si immergono totalmente in un progetto a favore di altri dimenticando se stessi e vivendo in un ambiente “al limite del possibile” difficilmente sperimentabile nelle città italiane.
L’esperienza estiva non è un campo di lavoro, né un campo di volontariato. Si tratta invece di un viaggio di formazione che si propone una seria revisione di vita mediante la condivisione della vita della missione, il lavoro con i giovani, la preghiera quotidiana, l’analisi delle cause della povertà e del sottosviluppo e la conoscenza dei problemi della gente, in dialogo con gli operatori sociali, politici e pastorali del territorio.
La motivazione profonda che spinge a fare questa esperienza è un esame serio dell’impostazione della propria vita: la qualità delle scelte, i progetti di futuro, lo spessore della propria religiosità. La vita dei poveri, la loro dignità di persona umana evidenziata dalla mancanza di sovrastrutture, e, a volte, dalla mancanza del necessario, la loro capacità di ricominciare a lottare ogni giorno, operano un silenzioso quanto efficace giudizio sulle strutture che riteniamo indispensabili alla nostra vita. Naturale conseguenza è una verifica del quadro di valori a cui ispiriamo le nostre decisioni e l’acquisizione di una nuova mentalità per divenire operatori di pace e di sviluppo umano capaci di scelte operative coerenti con quanto si è conosciuto.
A piccoli gruppi ospitati dalle comunità salesiane missionarie, si inseriscono nell’animazione giovanile e nelle attività educative svolte negli oratori dei Paesi Poveri. Ai missionari è richiesto di far conoscere le realtà locali attraverso incontri con operatori sociosanitari, membri di organizzazioni della società civile, giornalisti, autorità ecc.
Ogni gruppo è di norma accompagnato da un sacerdote salesiano che guida i partecipanti a superare eventuali difficoltà o problemi di adattamento e di accettazione della realtà circostante. I costi (viaggio aereo, visto, assicurazione, alloggio, vaccinazioni) sono a carico del singolo partecipante.
Scuole di educazione alla Mondialità
L’esperienza estiva è la conclusione di un iter di formazione della durata di un anno circa.
Ogni comitato regionale del VIS organizza dei percorsi di formazione che hanno lo scopo di fornire una preparazione generale su tematiche come i diritti umani, la cooperazione allo sviluppo, la globalizzazione, la geopolitica, l’intercultura, il volontariato internazionale ecc. Nei mesi immediatamente precedenti la partenza, la formazione verterà inoltre sulla storia, geografia e cultura del Paese di destinazione e sull’apprendimento della lingua internazionale lì parlata. La conoscenza della lingua del posto, seppure non approfondita, è un elemento fondamentale per la riuscita dell’esperienza, permettendo il contatto e lo scambio reciproco. Tutto il periodo formativo viene svolto in gruppo in un cammino che è già di per sé esperienza educativa.
Harambée
“Harambée” e una parola kiswahili che significa “incontro, raduno festoso, comunità che si riunisce”. È la tappa finale del cammino di formazione iniziato con le scuole di educazione alla mondialità e proseguito con l’Esperienza estiva nei Paesi Poveri. Ogni anno a fine settembre, si radunano a Torino per due giorni di riflessione, le persone che hanno seguito questo cammino provenienti a tutta l’Italia Salesiana, per celebrare con gioia il loro impegno di abbattere ogni barriera tra Nord e Sud.
L’occasione è l’incontro con il Rettor Maggiore dei Salesiani a Torino Valdocco, dove Don Bosco nel 1875 diede inizio all’attività missionaria della Congregazione inviando i primi 11 missionari in Argentina.
In questa occasione avviene la consegna dei crocifissi missionari ai salesiani, ma anche ai volontari laici che hanno deciso di donare due anni della loro vita al servizio dello sviluppo umano e dell’annuncio del Vangelo nei Paesi poveri.
Il volontario
Al centro di tutta questa attività sta la persona del volontario. L’attività di formazione al volontariato è chiaramente mirata alla maturazione della persona, per renderla capace di prendere in mano la propria vita per decidere come spenderla. Acquista un valore prevalente la formazione sul campo: le conoscenze che man mano acquisisce sono legate all’analisi delle situazioni umane che si trova a vivere, ma anche alla metodologia educativa salesiana che sperimenta. Le conoscenze e gli approfondimenti di economia, geopolitica, antropologia sono elementi indispensabili del cammino di formazione permanente che accompagna le varie fasi del volontariato, ma altrettanto devono esserlo pedagogia, sociologia, psicologia.
Il cammino di fede personale e la vita pastorale della Comunità salesiana in cui vive il volontario, completano il cammino formativo e gli permettono di arrivare ad una sintesi che ne determina la personalità.
Riteniamo, tuttavia, che non si possa parlare di Volontariato salesiano nel senso che esista una tipologia differenziata e in qualche maniera determinata nelle sue linee fondamentali dalle peculiarità della vita salesiana. Ma si dovrebbe invece parlare di volontari con «caratteristiche salesiane»: questo ci apre in certo modo al dialogo adulto, al rispetto della personalità del volontario che aiuteremo a crescere nella sua individualità. Certamente gli proponiamo il quadro di valori che si ispira a Don Bosco, gli suggeriamo una metodologia che sgorga dal Sistema Preventivo, ma non lo catturiamo come «nostro». Anzi saremo gioiosamente sorpresi di scoprire che volontari che non provengono dai nostri ambienti o non lavorano con noi hanno «caratteristiche salesiane».
Da queste due considerazioni consegue un rapporto con il volontario che è di formazione liberante: lo aiutiamo a formarsi perché possa volare libero e scegliere la strada che il Signore gli indica. Siamo più preoccupati del tipo di personalità che ne scaturirà che non dell’aiuto immediato che può darci. La sua competenza professionale, che dovrà caratterizzare la sua vita anche dopo il servizio di volontariato, e la sua capacità di analisi, diagnosi, progettualità… davanti ai problemi di una folla immensa di giovani poveri, ci interessa almeno quanto la sua formazione religiosa e la capacità educativa.
Se, per dono di Dio, qualcuno di loro chiederà di farsi salesiano, la nostra gioia sarà di aver creato un uomo libero che decide di far dono della propria vita ai giovani poveri, consacrandosi nella vita religiosa come Don Bosco. Ma saremo altrettanto contenti di tutti quelli che avendo ricevuto una identica formazione sceglieranno di costruire il regno di Dio in mezzo ai giovani poveri consacrandosi nel matrimonio.
Terminologia riguardo ai volontari
Faccio riferimento alla lingua italiana e alla situazione culturale nella Chiesa italiana e negli organismi di volontariato internazionale di ispirazione cristiana.
Il forte movimento di volontari laici che negli ultimi 40 anni ha portato circa 17.000 adulti italiani a scegliere questo servizio almeno per due anni per mezzo degli Organismi di ispirazione cristiana è sempre chiamato da tutti «Servizio di Volontariato Internazionale svolto da laici di ispirazione cristiana» e le persone interessate sono state chiamate semplicemente «volontari internazionali».
Questo evidenzia il fatto che l’operatività di queste persone è finalizzata allo sviluppo umano, tramite progetti appositi, ma evidenzia anche il fatto che la motivazione di fondo che spinge al servizio è l’identità cristiana degli stessi volontari oltre che quella dell’organismo di cui fanno parte.
La Chiesa Italiana ha accettato questa dizione e ha riservato il termine «laicato missionario» a coloro che vengono inviati direttamente del Vescovo della loro diocesi, per una missione specificamente dichiarata di catechesi e annuncio diretto del Vangelo, in appoggio alle Chiese locali, a volte con la caratteristica di essere accoliti, ministri dell’Eucaristia, diaconi permanenti.
Nella prassi salesiana italiana dal 1988 ad oggi, abbiamo sempre fatto la medesima scelta e abbiamo chiamato semplicemente «volontari, oppure volontari internazionali, oppure volontari laici» per coloro che si recavano nelle missioni, che affiancavano il lavoro delle comunità missionarie.
1. Il VOLONTARIATO
Premessa
Prima di parlare di Volontariato Internazionale, è opportuno fornire un quadro più generale del Volontariato, che meglio ci aiuti a comprendere questo vasto fenomeno nella sua interezza e complessità.
Il Volontariato è un fenomeno complesso che indica e coinvolge ad un tempo l’interiorità della persona, intesa come valore culturale e motivazionale che sottostà alla scelta di impegnarsi; l’operatività, intesa come comportamento che implica una interazione sociale; e una struttura, cioè un organismo che sostiene e coordina le attività.
Per questo la genesi della decisione di fare volontariato è stimolata da diversi fattori: dall’informazione, dai vincoli sociali e dai mezzi di trasporto.
L’informazione crea l’attenzione, la motivazione, il contatto, orienta gli interessi; in definitiva determina la cultura e fornisce alla coscienza gli elementi decisionali.
I vincoli sociali, come la famiglia, i doveri parentali, il posto di lavoro, gli incarichi pubblici, indirizzano e limitano il settore di intervento.
Ma, anche storicamente i mezzi di trasporto, con le loro caratteristiche di velocità e di costo, hanno condizionato il suo raggio d’azione. Si può così operare una prima grande suddivisione: volontariato sociale, realizzato sul territorio di appartenenza, e volontariato internazionale, normalmente diretto verso i Paesi Poveri caratterizzati da carenze strutturali generalizzate.
In ogni caso il volontariato nasce dal senso di solidarietà di singoli che decidono di mettersi al servizio della comunità al fine di promuovere la trasformazione della società, contribuire a rimuovere le cause che generano povertà e ingiustizia, dedicando attenzione prioritaria ai poveri, agli emarginati, o comunque a persone che vivono situazioni in cui non possono esprimere pienamente i loro diritti umani.
Volontariato sociale
Oggi si sente sempre più spesso parlare di Volontariato, dai mass media ma soprattutto tra i giovani, e l’idea che immediatamente ne riceviamo e che principalmente permea l’immaginario collettivo è quella di persone che sono spinte a fare attività di volontariato per sentirsi utili e dare un senso più completo alle proprie giornate. Si identifica, cioè, il Volontariato con l’impegno spontaneo di svolgere attività sociali disinteressatamente per collaborare a risolvere problemi in un settore di disagio sociale; la genericità del linguaggio comune identifica il Volontariato persino con attività che sono realizzate occasionalmente, sporadicamente, e talvolta senza una vera e propria progettualità.
E’ pertanto opportuno definire il volontariato ed effettuare una chiara distinzione tra Volontariato Sociale (V.S.) e Internazionale (V.I.).
Ritorneremo successivamente sul V.I. che appunto è un servizio di volontariato prestato in un Paese diverso da quello di appartenenza, nei Paesi Poveri, che ha caratteristiche sostanzialmente diverse da quello sociale.
Il Volontariato Sociale è quello che viene svolto invece sul territorio d’appartenenza e che proprio per questo è consentito a chiunque riesca a farlo convivere con i propri impegni, la propria famiglia e compatibilmente con le situazioni ambientali. Normalmente si tratta di impegno limitato nel tempo e realizzato nei momenti liberi, dopo i consueti orari di lavoro o di studio, cioè dopo aver adempiuto i propri doveri civili e di stato.
Attualmente sono milioni i cittadini che svolgono per un certo numero di ore settimanali questo servizio nei più disparati settori di disagio sociale. Il sistema economico dominante tende a degradare la qualità della vita, soprattutto per le fasce più deboli della popolazione. Anche in Paesi ad alto reddito cresce la folla dei poveri. Pertanto, il Volontariato Sociale che nasce istintivamente per assistere i più deboli si propone come modo nuovo per costruire i rapporti e le relazioni all’interno di una società che voglia assumere pienamente i suoi compiti sociali
Questo servizio, svolto, come abbiamo detto, sul proprio territorio e a tempo parziale, potrebbe essere definito come una collaborazione al volontariato: l’azione volontaria è allora la somma di tanti contributi indirizzati ad un’unica causa.
Nel volontariato sociale risalta in modo significativo l’azione realizzata con il contributo, anche parziale, di molte persone. Questa sinergia di privati cittadini e di libere associazioni è componente costitutiva di una moderna democrazia: è una delle forme con cui il cittadino partecipa alla vita sociale per «essere di più» (senso della vita); per «contare di più» (partecipare e influenzare); per «risolvere meglio» (qualità della vita ed eliminazione di sperequazioni).
Il Volontariato Sociale è tale solo se realizza una dimensione politica impegnandosi contestualmente nell’intervento immediato e nella rimozione delle cause personali e strutturali, nella promozione di nuove politiche sociali al servizio di tutti, con prestazioni prioritarie per i soggetti a rischio. Il fine del volontariato è il mutamento della società e delle istituzioni attraverso la partecipazione attiva. Un servizio ripetitivo, funzionale al sistema, non è certo compito del volontariato.
Nella capacità del volontariato di creare il nuovo, di dare un contributo essenziale alla qualità della vita, di impegnarsi per eliminare le cause di emarginazione è insito il concetto di sviluppo umano.
“Il Volontariato sociale è ormai parte rilevante di quel ‘terzo sistema’ che, accanto al mondo delle istituzioni pubbliche e delle attività private, ripropone la società civile, quella dei cittadini liberamente associati, come elemento fondamentale di una solidale prospettiva comunitaria, di una nuova cultura politica” (Federazione Italiana Volontariato).
Terzo Settore
Dalle forme più semplici di V.S. si è passati, negli anni ottanta ad una rete fittissima di iniziative e di coordinamenti. Ma è negli anni novanta che si va costituendo il Forum del Terzo Settore inteso come una forma di partecipazione popolare della società civile alla creazione di strutture democratiche di gestione del welfare.
La vasta realtà non profit costituita da organizzazioni senza scopo di lucro che permettono ai liberi cittadini di svolgere attività di volontariato è oggi comunemente denominata Terzo Settore.
Il Terzo Settore è infatti il campo dei soggetti sociali (associazioni e movimenti organizzati) che si occupano di volontariato e associazionismo, di cooperazione sociale e di imprese di solidarietà, di società di mutuo soccorso e di volontariato internazionale per lo sviluppo, di commercio equo e solidale, di fondazioni e di banche etiche, tutte con lo scopo “di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate” (Legge 381 dell’8 novembre 1991, art. 1).
Questi soggetti interpretano l’impegno della cittadinanza organizzata nei più diversi ambiti: assistenziale e di solidarietà, educativo e preventivo, formativo e scolastico, ambientale e sanitario, del tempo libero e della cultura…
Il TS sta così diventando uno dei soggetti portanti dell’economia sociale, che rappresenta la nuova strategia dello sviluppo sostenibile ed è una forma di regolazione democratica del mercato. La società civile è così chiamata ad essere protagonista a pieno titolo nella costruzione del nuovo modello di società.
Si tratta di “associazionismo di cittadinanza” (Passuello) o di “intrapresa di solidarietà” (Dahrendorf), che agendo in forma stabile e regolata sa produrre servizi, iniziative ed opere in vista del bene comune senza tornaconto personale.
Alla richiesta che viene da più parti, specie dalla destra liberale, e cioè “più mercato e meno Stato”, sembra si debba contrapporre una più autentica “socialità del sociale” che sappia esaltare le capacità concrete di autogoverno dei soggetti collettivi; “la via d’uscita dall’attuale crisi di società deve essere ricercata al tempo stesso in meno mercato, meno Stato e più scambi non retti né dal denaro né dall’amministrazione, ma fondati su reti di aiuto reciproco, di cooperazione volontaria, di solidarietà autorganizzata: il rafforzamento della società civile, se si vuole” (Andrè Gorz).
Il terzo settore si impegna in tal modo da protagonista nella trasformazione della realtà sociale, in ogni ambito di sviluppo umano e contro ogni forma di esclusione sociale, in un superamento della logica statalistica e assistenzialistica e, allo stesso tempo, evitando di cadere in quella economicistica e funzionale. Si tratta di organizzazioni il cui fine ultimo è la solidarietà anziché il profitto e che accettano la sfida rappresentata da carenze sociali di vario genere, garantendo una risposta che, nel tempo, divenga sempre più attenta ed efficace.
Le leggi italiane per il volontariato
Purtroppo non esiste una unica legge quadro per la regolamentazione delle attività di volontariato e per necessità, vista la varietà degli interventi e di tipologie di V. sono state fatte diverse leggi che governano il settore del Volontariato:
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legge sulla Cooperazione Internazionale allo sviluppo (n. 49/87),
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legge quadro sul Volontariato sociale (n. 266/91)
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relativa legge regionale – Valorizzazione e promozione del volontariato (n. 38/94)
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legge sulla Cooperazione sociale: Disciplina delle cooperative sociali (n. 381/91)
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relativa legge regionale – Norme di attuazione della legge 8 novembre 1991, n. 381 “Disciplina delle cooperative sociali” (n. 18/94)
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Decreto legislativo recante: disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale, (ONLUS) in attuazione della delega recata dall’art. 3, commi 186, 188, 189 della legge 23 dicembre 1966, n. 662 (legge finanziaria)
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proposta di legge sull’Associazionismo
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Così come esplicitato già nella legge sul volontariato n° 266 dell’11 agosto 1991, tale legittimazione giuridica è importante perché in tal modo si riconosce il valore sociale e la funzione delle attività di volontariato “come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo” (Art. 1.), e dunque è altrettanto importante promuoverne lo sviluppo e salvaguardarne l’autonomia, soprattutto in virtù dell’assenza di fini di lucro, della democraticità degli Organismi atti a tali attività e della gratuità delle prestazioni fornite dai volontari. Le leggi hanno rafforzato l’interesse delle organizzazioni di volontariato ad instaurare rapporti con il settore pubblico e tale interlocuzione con istituzioni ed enti locali è utile per una correzione della tendenziale autocentratura delle organizzazioni.
Il terzo settore è cresciuto perché il cittadino ha maggiore fiducia nella società e in se stesso, merito della maggiore stabilità politica e di una maggiore democraticità fornita delle suddette leggi, acquisendo, quindi, un ruolo sempre più attivo e non di supplenza nel disegnare le politiche istituzionali; in tal modo vive uno spazio di commistione tra stato e mercato, quale campo sperimentale di lavoro.
L’importanza del terzo settore sta appunto nella massima attenzione ai bisogni reali dei cittadini, specie dei più bisognosi, sia sotto il profilo economico e funzionale che culturale e formativo: ad essi è rivolto tutto l’impegno volontario e associato. La peculiarità di queste associazioni sta nella vicinanza alle persone nello svolgimento del servizio e nella dimensione locale, che rende possibile calibrare l’iniziativa con le attese reali delle persone sul territorio e verificare la qualità del servizio sulla misura di chi ne usufruisce: non per nulla oggi si parla di trasformazione del “welfare State” in “welfare municipale”, (Campedelli) per aumentare i rapporti fiduciari e facilitare logiche collaborative: la sussidiarietà non va confusa con l’organizzazione localistica degli egoismi, ma si esprime nella intensità delle relazioni, nella reciprocità e nell’impegno etico.
Volontariato internazionale
Il Volontariato Internazionale (V.I.) è appunto caratterizzato dalla decisione di lasciare la propria patria e di recarsi presso un’altro popolo per un periodo di tempo che, unitamene ad altre condizioni che esamineremo, consenta effettivamente di inserirsi nella cultura locale per realizzare insieme un progetto di sviluppo.
Il fatto di lasciare il proprio Paese comporta necessariamente che il tempo dedicato al volontariato sia totale dal momento della partenza a quello del rientro e comporta anche che vengano sospese le attività lavorative che permettevano all’interessato di avere un entrata finanziaria che gli consentivano di affrontare le spese necessarie per la casa, la vita, la famiglia.
Per questo il concetto di gratuità cambia totalmente: mentre nel V.S. significava l’assoluta rinuncia ad un compenso economico per le attività svolte, nel V.I. è il dono della professionalità, del tempo pieno, in una sola parola la dedizione della vita, che diventano segno di una donazione gratuita. Ma il volontario internazionale è parte di un tessuto umano che non vuole rinnegare: può avere con sé la famiglia, può avere un mutuo da pagare in Italia o altri impegni economici che deve rispettare; inoltre deve avere i mezzi per abitare, nutrirsi, vestirsi, per curare la propria salute, per vivere da persona sociale. Tutto questo comporta che debba ricevere uno stipendio sicuro e proporzionato.
Questa necessità di sicurezza economica ha determinato il sorgere di associazioni giuridicamente riconosciute o di fatto che con la loro organizzazione siano in grado di garantire al volontario i mezzi per vivere, ma soprattutto i finanziamenti realizzare i progetti di sviluppo in cui il volontario è inserito.
Proprio per questo le prime forme di volontariato internazionale, in mancanza di una normativa statale e di organizzazioni autonome, si sono appoggiate alle strutture ecclesiali delle Congregazioni religiose presenti nei Paesi Poveri e i volontari partivano senza essere garantiti da alcuna legge.
Volontariato Internazionale ai sensi della legge 49/87
Oggi quasi tutti gli Stati hanno una legislazione che riguarda il V.I.
La legge di riferimento italiana è attualmente la 49/87 che regolamenta la Cooperazione con i Paesi in via di sviluppo.
Partendo dal concetto di “cooperazione allo sviluppo” la legge, tra altri soggetti che hanno titolarità a cooperare, riconosce ad alcune associazioni di cittadini che abbiano particolari requisiti, l’idoneità “per la realizzazione di programmi di sviluppo nei Paesi in via di sviluppo; per la selezione, formazione e impiego dei volontari in servizio civile; per attività di formazione in loco di cittadini dei Paesi in via di sviluppo; per attività di informazione e di educazione allo sviluppo”. (art. 28). Queste associazioni idonee vengono chiamate Organizzazioni Non Governative, ONG. In Italia sono poco più di un centinaio ad avere questa idoneità.
La trafila indispensabile per poter svolgere il servizio di V.I. prevede dunque che una ONG idonea presenti agli uffici competenti del Ministero degli Affari Esteri (MAE) lo studio di un progetto di sviluppo nel quale sia prevista la figura di uno o più volontari con ruoli e compiti ben definiti.
L’approvazione del MAE, dopo tempi non ben definiti, e il successivo cofinanziamento dei costi di realizzazione, comprendono anche i volontari come sono descritti dal progetto.
E’ compito della ONG selezionare e formare persone che abbiano le caratteristiche richieste dal progetto e presentare la candidatura al MAE, che si riserva di verificarne la conformità con i requisiti richiesti.
La legge pone anche delle condizioni: cittadinanza italiana, maggiore età, idoneità psicofisica, formazione e la durata del contratto non inferiore a due anni.
Volontariato Internazionale “fuori-legge”
La legge 49/87 prevede quindi che il volontario sia inserito in un progetto presentato da una ONG riconosciuta idonea per la cooperazione allo sviluppo, ne stabilisce lo stipendio e le garanzie assicurative e previdenziali per il volontario. Ma questa strada è irta di difficoltà e solo poche centinaia di persone riescono ad accedere a questo volontariato internazionale secondo la legge.
Qualche migliaio di cittadini, invece, fa volontariato internazionale “fuori-legge”. Avendo maturato la scelta cosciente di mettere la loro professionalità al servizio dello sviluppo umano dei Popoli Poveri e avendo deciso di spendere gratuitamente alcuni anni della propria vita accettano di essere inviati e sostenuti da gruppi e comunità che li hanno “adottati” come segno concreto di solidarietà con i Paesi Poveri. In tal caso, detti gruppi o comunità mantengono un rapporto di collaborazione con i volontari inviati, sostenendo anche le spese di viaggio, assicurazione, contributi sociali; infine li aiutano a reinserirsi nel mercato del lavoro, al loro rientro.
Il cuore del discorso è la dimensione mondiale del volontariato internazionale, in virtù della quale una comunità, o un Organismo, sceglie alcune persone da mettere al servizio degli ultimi, dei più bisognosi. Da parte sua il volontario, sentendosi “inviato” dovrà mantenere i contatti con la comunità di partenza divenendo quel “ponte umano” che permette ad ambedue le comunità di scambiarsi ricchezze materiali, spirituali, educative, per cui si avvera quanto si afferma in RM 58: “Promuovere lo sviluppo educando le coscienze”. In ambito di Chiesa, ogni parrocchia, oratorio, gruppo, dovrebbe avere come primo impegno missionario l’invio di un volontario. Come la presenza del missionario è fondamentale per la nascita e la crescita di una nuova comunità cristiana, così un volontario che parte a nome di una comunità è determinante per un autentico spirito missionario che non riduca la solidarietà a soldi o container. “E’ l’uomo il protagonista dello sviluppo, non il denaro o la tecnica” (RM 58).
2. PRINCIPI ISPIRATORI DEL VOLONTARIATO SALESIANO
Concettualmente e spiritualmente, il volontariato internazionale è una forma, per così dire, più matura di volontariato, che comporta un maggiore impegno, forti motivazioni e precisi obiettivi e che presuppone una seria e precisa progettualità di intervento e la presenza di un Organismo in grado di rispondere alle esigenze sia dei destinatari dell’intervento, che dei volontari inviati.
La scelta di fare il volontario, anche se è limitata ad alcuni anni, è comunque una scelta di vita in senso totale. Questo induce a considerarla una vocazione precisa perché l’atteggiamento interiore di donazione è votato al servizio senza condizioni. Lo sforzo di inculturarsi, l’apprendimento della lingua del posto, l’impegno per il dialogo, la valorizzazione delle caratteristiche del popolo presso cui lavora, sono e devono essere il segno della scelta di un cammino umano che privilegia il rapporto interpersonale e tende a trasformare le strutture che generano ingiustizia e violenza; così il volontario è operatore di pace.
Dal profondo del cuore e da una preparazione seria
Il volontario deve possedere caratteristiche ben definite per svolgere questo compito. Anzitutto la maturità umana e l’equilibrio psico-affettivo, poi una professionalità specifica, utile allo sviluppo della comunità in cui svolgerà il suo servizio.
Il volontariato richiama normalmente un’idea di azione, di laboriosità, di efficienza. Questo è vero, ma è solo la punta di un iceberg. Quando il volontariato è “vero”, la sua parte sostanziale è nelle sue profonde convinzioni che costituiscono la coscienza di una persona, prima e al di sopra di situazioni contingenti.
“Essere volontario è una virtù interiore e come tale va seminata, fatta crescere, esige delle scelte costose, progressive, esige un itinerario educativo, delle tappe, delle verifiche. Il volontariato che ci fa “adulti” è l’atteggiamento interiore che diventa progressivamente stile di vita concreta con cui una persona decide che la sua realizzazione, il finalismo della sua esistenza e, in definitiva, la sua maturità trova pienezza nell’essere disponibile ai bisogni altrui”.
L’elemento determinante è “possedere e guidare la propria vita”, decidere dal profondo le proprie scelte; il quadro dei valori, delle motivazioni deve precedere, almeno come logica, quello dell’incontro con le persone, delle emozioni; le situazioni di necessità dell’“altro”, del povero, non devono essere il movente delle nostre decisioni, ma semplicemente l’occasione dell’impatto concreto. In fondo un volontario non è tale quando “parte” e perché parte, ma lo è per la tensione che unifica tutta la sua vita, ovunque si trovi.
Una caratterizzazione del Volontariato Internazionale è la progettualità per lo sviluppo che suppone competenza professionale e l’inserimento in una struttura organizzata capace di dare continuità nel tempo per gli interessati e serietà di analisi per i problemi.
Il volontario che decide di partire per una missione internazionale mette la propria professionalità, la propria cultura e la propria vita a servizio della crescita di altri popoli; perciò si richiede una specifica professionalità che costituisca la base di un rapporto costruttivo con la cultura “altra”; rapporto per il quale è necessario che il volontario “esca” letteralmente dal proprio mondo, dal sistema valoriale della propria cultura per conoscere e comprendere l’“altro”.
Il volontario, ponte culturale
Abbiamo definito il Volontariato Internazionale “ponte culturale” e tale definizione comprende diversi aspetti. Certamente il volontario è un vero e proprio ambasciatore dell’Organismo che lo invia, un tramite ed uno strumento per la realizzazione di un progetto; il mediatore ed il collegamento tra due culture a volte molto distanti tra loro non solo geograficamente. La sua stessa funzione di svolgere un compito preciso e un determinato servizio che corrisponde alla sua professionalità, esige come condizione di efficacia che si impegni a comprendere realtà e cultura locali, a farsi portavoce dei poveri e loro interprete nel proprio Paese.
Questa mediazione fa sì che il progetto abbia un risvolto anche nei cosiddetti Paesi Ricchi, i Paesi promotori; un risvolto educativo interculturale che permette ai vari Organismi di elaborare progetti sempre più mirati e corrispondenti alle effettive esigenze dei Paesi Poveri. E’ chiaro che, in questi termini, il volontario non è un semplice collaboratore, un tecnico, un dipendente, ma un anello di congiunzione culturale e spirituale tra due mondi, due realtà, un ponte di collegamento “umano” che rende progetti e finanziamenti altrettanto “umani”; una persona che decide di condividere e regalare una parte consistente della propria vita a persone che vivono in situazioni di grave disagio.
Essere volontario è più uno stile di vita che una specifica attività, e la sua caratteristica principale è il coinvolgimento personale, profondo e progressivo in uno stile di condivisione e di servizio. Ne scaturisce una personalità “solidale”, in linea di principio, con tutte le persone del mondo, e concretamente impegnata in un servizio locale.
La gratuità, come attitudine ad una amore altruistico e disinteressato, come tendenza a dimenticarsi di sé per il bene degli altri, dovrebbe caratterizzare la vita del volontario. In un certo senso si richiede al volontario in particolare una maturità (ben distinta da quella intellettuale e fisica), maturità interiore, che è indispensabile a qualunque scelta che leghi la vita di un individuo ad altre persone in modo stabile e duraturo. Per questo un cammino serio di volontariato trasforma le dinamiche della vita: le scelte professionali. vissute come vocazione a servizio dei bisogni della gente; le scelte politiche, vissute come strumento necessario perché ogni individuo possa essere in grado di “possedere” la propria vita; le scelte lavorative per cui si rinuncia ad un maggior profitto per un più autentico servizio alle persone e ai gruppi; la scelta del matrimonio o vita consacrata che diventa partecipazione alla paternità di Dio e attuazione storica del Suo regno.
Gli “altri”, in particolare gli “ultimi”, divengono protagonisti della nostra vita, in quanto siamo noi stessi che decidiamo di rispondere alle domande fondamentali: “chi sono io, perché sono al mondo, a cosa serve la vita, ecc.” proprio a partire da questa nuova visione unitaria per cui la dignità dei poveri è anche la nostra, la loro realizzazione è necessaria per la nostra. Così uomo, vita, giustizia, comunità, ecc. vengono ricompresi, ridefiniti, ristrutturati a partire dagli ultimi per costruire una vita dignitosa per tutti.
Lettura cristiana del volontariato internazionale
Alla luce di quanto detto finora, non è improprio parlare di una vera e propria vocazione al volontariato, intesa nel senso che tale decisone si può considerare un dono di Dio che fa percepire non solo la scelta del volontariato, ma tutta la vita, come una vocazione. I volontari realizzano multiformi testimonianze di solidarietà, servizio e condivisione con i più deboli, nella loro gratuità e apertura disinteressata. Quando questo avviene in forza dell’ispirazione cristiana e dell’appartenenza alla Comunità o agli enti ecclesiali, questo stile di vita si mostra oggi “come via privilegiata per aggregare coloro che, senza esserne pienamente consapevoli, con le loro scelte di vita sono orientati a dire di sì al Dio di Gesù Cristo” (ETC 9).
Come esplicitato nella Christifideles laici, se la vocazione del battezzato è “vivere il Vangelo servendo la persona e la società”, allora, proprio nell’attività del volontariato, facendosi serva degli uomini, la comunità cristiana accoglie e annuncia il Vangelo nella forza dello Spirito.
La Christifideles laici indica con precisione i campi in cui il laico cristiano dovrebbe portare il suo servizio e che coincidono largamente con i compiti del volontario: promuovere la dignità della persona; venerare l’inviolabile diritto alla vita; libertà di invocare il Nome del Signore; l’impegno sociale; sostegno della solidarietà; porre l’uomo al centro della vita economico-sociale; evangelizzare la cultura e le culture dell’uomo (ChL 36-44).
“Si deve parlare di volontariato lì dove c’è una tensione continua alla ricerca del bene per l’altro, dove l’altro non è più solo il singolo ma la comunità; si parla di volontariato lì dove c’è un’attenzione e una libertà di pensiero che permette di leggere i reali bisogni, che permette di essere anticipatori di idee, di servizi, di interventi; che permette di essere degli sperimentatori, che permette di andare oltre e sopra gli interessi locali dei singoli per occuparsi di qualcosa di “altro”; si deve parlare di volontariato lì dove si incontrano persone al passo con i tempi, che non hanno paura di cambiare, di trasformare e mettere in gioco le proprie vite ed il proprio essere per una scelta” (Francesca Busnelli, Rivista del Volontariato, marzo 1999).
3. VIS, VOLONTARIATO INTERNAZIONALE PER LO SVILUPPO
Era il 3 marzo del 1986. Nell’Istituto Salesiano Crocetta di Torino, un gruppo di 14 persone rappresentanti di tutta la Famiglia Salesiana, sotto la guida di Don Angelo Viganò, Ispettore di quel raggruppamento di Case salesiane che era chiamato Ispettoria Salesiana Centrale, firma l’atto costitutivo di un nuovo Organismo Non Governativo con il programma espresso nel nome: impegno per il volontariato internazionale e impegno per lo sviluppo umano.
A dire il vero la “S” era stata pensata per Salesiano, ma una amica, funzionaria del Ministero degli Affari Esteri, la Dottoressa Marina Miconi, suggerì di essere più laici nella forma per aver maggior accesso a quegli Enti finanziatori che, proprio perché non sono veramente laici, fanno discriminazioni ideologiche soprattutto nei confronti di chi si professa cristiano.
Da pochi anni, un altro Viganò, Don Egidio, Rettor Maggiore dei salesiani, il maggiore dei tre fratelli, tutti salesiani, aveva lanciato il «Progetto Africa». Tutte le Ispettorie salesiane erano invitate a mandare missionari e laici, a studiare progetti, a realizzare servizi in favore dei giovani poveri. La Cooperazione Italiana prevedeva la possibilità di finanziare le iniziative che la società civile doveva presentare per mezzo delle ONG e don Angelo Viganò incaricò don Giancarlo Freretti di studiare uno statuto che fosse all’avanguardia nella progettazione dello sviluppo, con particolare attenzione all’educativo, e convogliasse tutta la forza creativa dei laici salesiani.
Già Don Bosco l’aveva fatto quando nella fondazione della Congregazione aveva lanciato un appello ai laici per lavorare uniti nell’educazione dei giovani poveri e li aveva costituiti nell’Associazione dei Cooperatori salesiani, ma li aveva anche spinti a partire per le missioni affiancandoli ai confratelli, e poi alle Figlie di Maria Ausiliatrice, fin dal 1875 nella prima spedizione missionaria in Patagonia.
È importante notare come anche nei soci fondatori del VIS sono presenti tutte le componenti di quella che viene chiamata la Famiglia Salesiana: Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, salesiani Cooperatori, ex allievi.
Alcune date significative
Sono seguiti anni di intenso lavoro in cui abbiamo tentato di rendere operativa l’intuizione iniziale pur apportando i cambiamenti richiesti dall’evoluzione della situazione mondiale sia nei Paesi in cui operiamo sia nella gioventù di casa nostra.
1986 Alla sua fondazione partecipa l’intera Famiglia Salesiana: primo Presidente il Sig. Silvano Dalla Torre, salesiano coadiutore, già missionario in Tailandia e Docente di elettronica
1987 Il MAE riconosce al VIS le idoneità alla cooperazione allo sviluppo
1988 Don Ferdinando viene inviato a Torino come Animatore Missionario nazionale e diventa Presidente VIS
1990 La sede del VIS viene trasferita a Roma
1993 Si modifica lo statuto: il VIS intuisce che la sua forza è di riconoscersi nella struttura civilistica della Congregazione salesiana, il Centro Nazionale Opere Salesiane, CNOS, ente morale riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana. Essendo promosso dal CNOS, diventa l’espressione autorevole della Conferenza degli Ispettori Salesiani Italiani, CISI, nell’area del Volontariato Internazionale e della Cooperazione allo Sviluppo. Viene eletto come presidente un laico: Antonio Raimondi
1996 La necessità di radicarsi sul territorio italiano e anche il bisogno della “devolution” porta ad un ulteriore modifica dello statuto. Oltre a numerosi laici tutte le Ispettorie Salesiane Italiane e qualcuna anche estera chiedono di diventare soci del VIS. Vengono costituiti i Comitati regionali ed interregionali
2000 Il 27 Luglio al VIS è riconosciuta la personalità giuridica: Ente morale
2007 Massimo Zortea succede ad Antonio Raimondi nella carica di Presidente del VIS.
2007 Il VIS viene iscritto presso la Prefettura di Roma nel Registro delle Persone Giuridiche.
2009 Don Franco Fontana succede a Don Ferdinando Colombo nella carica di Vice-Presidente delegato CNOS.
2010 L’Organismo riceve dal Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) lo status di organismo consultivo nell’area dei diritti umani, conseguendo la possibilità di partecipare alle sessioni del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Agenzia Educativa
Nei venti anni dalla sua fondazione il VIS ha progressivamente assunto una sua precisa identità di agenzia educativa che lo colloca a pieno diritto nel Carisma Salesiano.
L’obiettivo principale del VIS è diventato la formazione dei giovani e degli adulti nell’intento di favorire la strutturazione di personalità aperte alla dimensione di un mondo globalizzato e nello stesso tempo progettualmente capaci di assumere il proprio compito per umanizzare strutture e rapporti sociali.
Il nome di “Volontariato Internazionale per lo Sviluppo” assume pienamente il suo significato non solo nelle centinaia di persone che regalano anni di vita al servizio dei Paesi Poveri, ma soprattutto nel coinvolgimento di larghi strati di società civile in questa mentalità di impegno per i valori evangelici: pace, giustizia, diritti umani, accoglienza del migrante…
Le attività sono principalmente indirizzate alla produzione di strumenti che rendono possibile il contatto con i giovani e la loro formazione. Gli strumenti informatici e più in generale i mezzi di comunicazione attuali ci permettono di raggiungere e di formare le persone nel loro ambiente di vita. Per questo ci sembra di poter affermare che stiamo gestendo un “Centro Giovanile salesiano virtuale” che raggiunge anche le persone che sono all’esterno delle strutture salesiane.
Ricchezze umane provenienti dal lavoro nel settore educativo
Grazie al servizio di ottimi collaboratori nella sede centrale e di laboriosi soci nei Comitati regionali, il VIS è in collegamento vivo e stimolante con molte realtà. L’orizzonte è ormai quello del mondo intero.
È presente con progetti e volontari in 48 Paesi Poveri, crea sinergie e costruisce rete con le altre ONG e procure del mondo salesiano: è tra i fondatori del DBN, Don Bosco Network, che gestisce un budget annuo di circa 40 milioni di Euro a favore dello sviluppo umano e sociale dei giovani poveri nei 130 Paesi in cui sono presenti i Salesiani di Don Bosco.
Intesse rapporti progettuali e operativi con Enti finanziatori come l’Unione Europea, il Ministero Affari Esteri, la CEI, la Caritas Italiana.
Partecipa agli incontri di settore con Associazioni e Federazioni e a Reti nazionali per le attività di advocacy: Associazione delle Ong, CISD (Comitato Italiano Sostegno a Distanza), Tavola per la Solidarietà, Pididà (Per i diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza), Rete Lilliput, Palestinaonline (sito Web della Piattaforma Palestina) Piattaforma Nazionale EaS, Coalizione mondiale contro la povertà.
Ha dato vita ad un consorzio di solidarietà: AGIRE, l’Agenzia Italiana per la Risposta alle Emergenze che raggruppa alcune tra le più importanti ed autorevoli ONG presenti in Italia che hanno scelto di unire le forze per rispondere in modo tempestivo alle gravi emergenze umanitarie.
Partecipa con riflessioni e proposte operative ai dibattiti sui diritti umani riguardanti in particolare i minori, minori emigranti non accompagnati, minori lavoratori, minori sfruttati, minoranze etniche, sostegno a distanza.
Ma la ricchezza più significativa è il contatto con i giovani e gli adulti: sul territorio italiano vengono gestite dai Comitati scuole di mondialità a cui partecipano centinaia di giovani adulti, che dopo un anno di preparazione vengono accompagnati nei Paesi Poveri per un mese di formazione alla scuola dei poveri.
Da queste esperienze, quasi un vivaio di solidarietà, fioriscono le candidature al volontariato internazionale che hanno permesso in questi quasi 25 anni di inviare più di 350 persone, professionalmente preparate, che per un minimo di due anni hanno svolto il loro servizio accompagnando il cammino dello sviluppo umano dei Paesi Poveri.
La formazione a più largo raggio è garantita in Italia da settimane di Educazione alla Mondialità, giunte alla XVII edizione, dal sito www.volint.it, vera miniera culturale visitato da più di 100.000 persone ogni mese, dalla scuola on-line del sito volint che con i suoi corsi ha già dato attestati a più di mille persone.
Ancora: la rivista Un Mondo Possibile che raggiunge 30.000 famiglie con i suoi contenuti che aprono ad una visione realistica e solidale delle complesse vicende geopolitiche che coinvolgono tutti noi; la collana di libri “Cittadini del Mondo” edita in collaborazione con la SEI punto di riferimento per il settore avendo già pubblicato 8 volumi; la realizzazione di documentari missionari e spot televisivi; due mostre fotografiche itineranti che stanno percorrendo le principali città italiane.
Una particolare attenzione l’abbiamo avuta per i giovani universitari: per primi in Italia abbiamo dato vita al primo Master in Cooperazione allo sviluppo presso l’Università di Pavia, che ora è collegato con il MICAD – Master in International Cooperation and Development dell’Università di Betlemme; e con il MIUR, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, abbiamo firmato una convenzione per studi, ricerche, inchieste, interventi, gemellaggi nel mondo della scuola.
Sulla scia di una nuova visione strategica affermatasi dalla fine degli anni Novanta nell’ambito della progettualità per lo sviluppo (Human rights based approach to development), il VIS ha adottato nei propri interventi l’approccio metodologico basato sui diritti umani e sull’ampliamento delle capacità e non più soltanto sui bisogni.
I diritti umani non sono un premio per il raggiungimento di un certo livello di sviluppo economico, ma un mezzo per contribuire allo sviluppo umano così come lo sviluppo è un mezzo per garantire un godimento effettivo e duraturo dei diritti umani.
Per il VIS la cooperazione allo sviluppo non deve cercare di soddisfare, calando soluzioni dall’alto, solo i bisogni materiali delle persone: deve lavorare affinché i diritti umani – universali, indivisibili ed interdipendenti – siano riconosciuti, garantiti ed effettivamente goduti.
L’impegno in questo settore continua a crescere: la promozione e la protezione dei diritti umani è inserita in modo trasversale nei progetti realizzati dal VIS nei PVS, è oggetto di campagne di advocacy e riceve un’attenzione privilegiata nella formazione e sensibilizzazione sul territorio.
L’educativo diventa evangelizzazione
La più grande ricchezza culturale che il VIS sta donando alla Congregazione salesiana e alla Chiesa italiana è la sintesi tra educativo e valori evangelici, tra analisi dei problemi mondiali e implementazione dei diritti umani, tra progettualità negli interventi di sviluppo umano e motivazioni etiche profonde negli operatori. È l’educativo impregnato dei valori evangelici che trasforma le attività di cooperazione allo sviluppo in quella che in campo ecclesiale è chiamata Animazione Missionaria (AM).
Il VIS come associazione nazionale ha scelto come suo compito primario di educare, cioè: INFORMARE – FORMARE – METTERE IN RETE tutti i giovani che può raggiungere per mezzo dei Comitati VIS sul territorio delle Ispettorie. Ma in questo impegno educativo si ispira alla dottrina sociale della Chiesa elaborando una nuova sintesi che affascina larghi strati di giovani. Questa sintesi nel linguaggio ecclesiale si chiama esattamente
Animazione Missionaria
L’esperienza acquisita in tanti Paesi Poveri, nelle molteplici attività e negli approfondimenti culturali gli permette di sensibilizzare ai problemi dell’umanità (Educazione alla Mondialità), di proporre sbocchi operativi di servizio caratterizzati dal carisma di Don Bosco (promozione umana), di formare mediatori culturali e volontari che diventano annunciatori dei valori evangelici e perciò operatori di Pace (evangelizzazione).
È questa l’AM “di qualità” che proponiamo a tutte le comunità salesiane ed ecclesiali italiane. In questa visione il VIS diventa lo strumento idoneo a servizio del lavoro educativo e quindi della formazione delle persone che è il cuore della AM.
Potremmo dire che l’AM è il contenuto educativo e carismatico dell’Organismo e il VIS è il volto pubblico, sociale, civile dell’impegno salesiano per la promozione del laicato nell’opera di evangelizzazione e umanizzazione in favore dei giovani emarginati dei Paesi Poveri.
Nei momenti formativi interni amiamo parlare di AM VIS come un’unica realtà, come una medaglia con due facce: AM che esplicita la chiamata al servizio che scaturisce dal Battesimo e VIS che offre concreti progetti di sviluppo umano valorizzando la professionalità degli individui. Tutto questo ha un solo scopo: aiutare i giovani a «vivere il Vangelo servendo le persone e la società».
Il Congresso mondiale su “Sistema preventivo e Diritti Umani”
Il VIS, sostenendo l’idea del Dicastero di Pastorale Giovanile, due anni fa si è fatto promotore presso il Rettor Maggiore dell’organizzazione di un Congresso mondiale su Sistema Preventivo e Diritti Umani. L’obiettivo è quello di contribuire al processo di riattualizzazione del sistema preventivo di Don Bosco attraverso la sensibilizzazione degli operatori ed educatori salesiani per promuovere il loro impegno nell’educazione ai diritti umani, quale via privilegiata per la formazione e l’educazione integrale dei giovani di oggi.
Il Congresso si è svolto dal 2 al 6 gennaio 2009 a Roma.
Promuovere i diritti umani, in particolare quelli dei minori, è la via salesiana per la promozione di una cultura della vita e del cambiamento delle strutture. Il Sistema Preventivo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale: vuole collaborare con molte altre agenzie alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e visioni di vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento costante di condivisione gratuita e di impegno per la giustizia e la dignità di ogni persona umana.
L’educazione ai diritti umani, in particolare ai diritti dei minori, è la via privilegiata per realizzare nei diversi contesti questo impegno di prevenzione, di sviluppo umano integrale, di costruzione di un mondo più equo, più giusto, più salubre. Il linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e l’inserimento della nostra pedagogia nelle differenti culture del nostro mondo” (dai contenuti fondamentali della Strenna del Rettor Maggiore per il 2008).
www.donbosco-humanright.org
Il portale Don Bosco Human Rights è lo strumento operativo ideato in occasione del Congresso Sistema Preventivo & Diritti Umani per avviare il cammino di sintesi tra Sistema Preventivo e Diritti Umani e condividere e valorizzare gli sviluppi che seguiranno.
Obiettivi del portale:
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coinvolgere gli educatori della famiglia salesiana;
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condividere esperienze tra quanti nel mondo già da anni si adoperano per evidenziare il valore educativo e programmatico della promozione e protezione dei Diritti Umani;
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socializzare i contributi che mirano al rilancio del Sistema Preventivo con il linguaggio universale dei Diritti Umani;
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fornire percorsi di conoscenza e strumenti di auto-formazione al Sistema Preventivo e ai Diritti Umani;
Vision: lo sviluppo umano
Fin dall’origine il VIS non ha mai avuto una vision meramente assistenzialista. Sulla rivista dell’organismo nel 1993 scrivevo che i bambini poverissimi e analfabeti dell’Etiopia non erano tubi digerenti ma persone, soggetti di diritti fondamentali.
All’epoca, all’inizio degli anni Novanta, mancava un decennio a che si iniziasse a parlare di povertà come violazione di diritti umani a livello internazionale e il concetto preponderante di sviluppo era in termini prettamente economici.
I paesi era divisi tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo in base al loro PIL, nella migliore delle ipotesi in base al loro PIL pro-capite. Le politiche di sviluppo, volute dalle istituzioni finanziarie internazionali e da un gruppo di paesi donatori, erano essenzialmente economiche, nella migliore delle ipotesi economico-sociali, basate sui cosiddetti bisogni primari (basic-needs).
Le ONG, da altro canto, all’inizio degli anni Novanta, utilizzavano generalmente un approccio assistenzialista essenzialmente basato sul costruire strutture e dare, distribuire beni e servizi. Le persone povere nei PVS erano visti come beneficiari passivi, destinatari di cose e servizi da ricevere.
In VIS ha avuto per origine e background, all’interno della propria identità, vision e mission un approccio molto diverso da quello dominante e molto innovativo.
Differenzio origine e background perché con origine voglio far riferimento alla visione dei fondatori come persone fisiche che hanno iniziato ad andare in Africa e poi nel mondo per stare con e non per dare o costruire, sottolineo in particolare la differenza tra l’esperienza estiva tata proposta fin dall’inizio come andare alla scuola dei poveri e i vari campi di lavoro proposti da altri.
Con background, invece, voglio fare riferimento alla visione antropologica cristiana e salesiana sottesa all’identità, vision e mission del VIS.
La visione antropologica cristiana e salesiana si è sposata, da un lato, con la visione di sviluppo umano di Amartya Sen (che tra l’altro il VIS ha portato in Italia alla settimana di educazione alla mondialità nel 1996) come sviluppo delle persone, attraverso le persone e per le persone (persone intese come individui ma anche nelle dimensione sociale della comunità e del Paese) e, dall’altro, con la visione dei ragazzi più poveri e vulnerabili come soggetti di diritti, anticipata da don Bosco fin dall’inizio ed esplicitata, a livello di diritto internazionale, nella Convenzione di New York del 1989.
Fino agli anni Novanta, e spesso ancora oggi, i bambini più poveri e vulnerabili erano stati considerati generalmente in base a due visioni dominanti: nella “migliore” delle ipotesi, il bambino “bisognoso” era visto come vittima della società, oggetto-beneficiario di politiche sociali di protezione.
In base a tale visione il bambino povero, analfabeta, abbandonato, il bambino che infrange la legge penale, è assistito con politiche sociali di tipo ridistributivo (con emolumenti in denaro, con beni materiali, con cure mediche, ecc.). Il bambino, e la sua famiglia, hanno un ruolo passivo di beneficiari-destinatari di assistenza.
Nella “peggiore” delle ipotesi: il bambino povero, analfabeta, abbandonato, il bambino che infrange la legge penale è visto come minaccia per la società, cui corrispondono politiche repressive e di istituzionalizzazione. Il bambino è escluso dalla società e separato da essa in istituti.
Rispetto a questi due scenari don Bosco ha proposto una visione nuova e diversa del ragazzo povero e vulnerabile, anticipando in molti aspetti quella che è poi diventata la visione fatta propria dalla Convenzione di New York in cui il ragazzo da soggetto passivo, destinatario di beni e servizi, diventa soggetto, a tutti gli effetti, dei suoi diritti fondamentali e agente attivo e principale attore del processo di sviluppo umano.
Approccio metodologico: i diritti umani
L’approccio metodologico di azione in base a questa prospettiva si capovolge: da politiche basate sui bisogni a politiche basate sui diritti umani, da una distribuzione di beni e servizi di base dall’alto verso il basso ad una costruzione nel lungo periodo delle capacità e delle opportunità di scelta individuali e comunitarie (le capabilities elaborate da Amartya Sen), dal basso verso l’alto che garantiscano l’accesso di medio e lungo periodo a beni e libertà, non solo alla loro disponibilità immediata e contingente.
Questa specifica visione di sviluppo umano e sostenibile del VIS ha portato l’organismo ad adottare gradualmente, un approccio metodologico basato sui diritti umani e sull’ampliamento delle capacità individuali e poi sociali.
Gradualmente infatti ci si è resi conto che l’ampliamento delle capacità individuali non era sufficiente ma doveva essere accompagnato, in una relazione di reciprocità vitale, da un ampliamento delle capacità sociali.
La cultura dello sviluppo umano e sostenibile (non solo della solidarietà) deve riuscire a farsi cultura diffusa, ad essere fatta propria da un’opinione pubblica allargata e per ottenere questo, oltre a promuovere sensibilizzazione, informazione e formazione bisogna riuscire ad incidere sulle politiche pubbliche.
Incuneamento interstiziale nelle Istituzioni
L’adozione di un approccio metodologico basato sui diritti umani, dunque, sta portando a due cambi di prospettiva: 1) il graduale affiancamento di azioni di advocacy ai progetti e agli interventi di sviluppo nei Paesi poveri; 2) una diversa metodologia nell’analisi della situazione di intervento nei PVS e nella pianificazione progettuale.
L’advocacy, a differenza dell’attività di denuncia, è finalizzata a promuovere il cambiamento sociale intervenendo su coloro che sono individuati quali decision makers, a modificare la loro percezione o comprensione della questione specifica e influenzare le loro decisioni in materia affinché norme, politiche, e prassi, nazionali e internazionali, perseguano l’ideale di un mondo più giusto, più equo, più salubre e più sicuro.
In particolare il VIS realizza attività di advocacy mirate a sensibilizzare e influenzare le istituzioni che a vari livelli (internazionale, europeo e nazionale e locale) con le loro azioni e decisioni, sono in grado di incidere su alcuni ambiti specifici: quantità, qualità ed efficacia della cooperazione internazionale e della lotta alla povertà, promozione e protezione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e qualità della educazione.
Il metodo scelto dal VIS per le proprie azioni di advocacy è quello cosiddetto dell’incuneamento interstiziale, elaborata da Antonio Papisca. che consiste nell’agire dentro le istituzioni della politica mondiale, utilizzando quegli spazi (interstizi, cleavages) all’interno delle Organizzazioni Internazionali (UN, COE, UE) in cui una ONG riesce ad inserirsi cogliendo le opportunità offerte in particolare dai sistemi dei diritti umani al fine di proporre un cambiamento politico.
Fedele a questa strategia il VIS ha partecipato a conferenze, forum, summit mondiali, rapporti supplementari a Treaty Bodies delle Nazioni Unite, nuovi meccanismi predisposti dal Consiglio Diritti Umani delle UN, campagne internazionali con un contributo specifico e di qualità.
Tali attività hanno consentito al VIS di ottenere ad agosto 2009 l’accredito presso ECOSOC,
L’attività di advocacy non si può svolgere se non in rete: il VIS partecipa a network a nazionali ed internazionali
Un’esperienza concreta di quanto affermato è l’attività all’interno del Comitato per la promozione e protezione dei diritti umani, di cui siamo tra le ONG fondatrici nel 2002 .
Il Comitato che oggi conta 82 ONG italiane è una rete creata nel 2002 al fine di promuovere la costituzione in Italia di una Istituzione Nazionale Indipendente per la promozione e protezione dei diritti umani.
All’interno di questa rete è stata Carola Carazzone responsabile del settore Diritti Umani del VIS nel 2003 coordinare tutti i lavori e a proporre di usare l’incuneamento interstiziale e il sistema internazionale dei diritti umani delle Nazioni Unite per promuovere, vista la staticità della situazione italiana, cambiamenti interni anche dall’esterno. Tutte le attività sono state proposte e coordinate dal VIS coinvolgendo ogni volta decine di altre ONG.
A partire dal 2003, il Comitato ha partecipato a livello internazionale a far approvare il “Protocollo Opzionale” al Patto per i Diritti Economici, Sociali e Culturali; alla elaborazione del primo Rapporto Supplementare non governativo al IV Rapporto Governativo presentato dall’Italia sulla implementazione del Patto per i Diritti Economici, Sociali e Culturali, (novembre 2004); all’esame di tale Rapporto, (Lisbona, 2004); e di tappa in tappa fino a Brussels, (2007); Ginevra, (2008); Dublino, (2008); Vienna, (2008); Vienna, (2009); Stoccolma (2009).
E ultimamente il VIS era parte attiva nella Delegazione a Ginevra al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite VII Sessione del Gruppo di Lavoro per la Revisione Periodica Universale – Italia, 8-19 febbraio 2010.
Dal 2008 il VIS, come ONG, è membro della Fundamental Rights Platform della European Union Agency for Fundamental Rights, che ha sede a Vienna e dal 2009 ha avuto l’accredito presso ECOSOC, Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite.
Area d’intervento: Educazione e Formazione
Non è immaginabile per il VIS un’azione di cooperazione con i Paesi poveri volta al cambiamento dell’attuale situazione di squilibrio e ingiustizia tra Nord e Sud del mondo senza un’adeguata azione volta a sensibilizzare ed educare la società civile del nostro Paese ad una cultura della solidarietà internazionale, dei diritti umani, dell’intercultura, della pace, della tutela e promozione della biodiversità. I destinatari prioritari di tale azione sono da una parte il mondo salesiano (scuole, oratori, comitati, gruppi di appoggio, ecc.), dall’altra la scuola, i formatori, i giovani universitari, gli adulti e l’opinione pubblica in generale.
Tale azione è del tutto coerente con l’obiettivo dell’Animazione Missionaria del territorio, che il VIS svolge da oltre 20 anni, presentandosi sempre più come una “Agenzia educativa“. Un Organismo, cioè, che fa dell’educazione la sua specificità, la sua caratteristica essenziale nonché il suo principale obiettivo, ispirandosi al sistema cristiano di valori disegnato da Don Bosco di solidarietà concreta verso gli ultimi (soprattutto verso i bambini e i giovani), unito a quello laico del primato della persona e dei diritti umani.
Il VIS lavora, nei Paesi in via di sviluppo preoccupandosi di offrire opportunità educative e formative attraverso programmi di cooperazione internazionale per:
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educare, istruire e sostenere bambini, adolescenti e giovani a rischio d’esclusione sociale; – assistere e riabilitare i bambini di strada, i minori abusati e i bambini ex-soldato;
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garantire una formazione professionale coerente con le effettive disponibilità e necessità del mercato del lavoro;
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contribuire all’accesso al lavoro e al reinserimento sociale dei giovani;
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ampliare l’accesso alle informazioni e alla formazione superiore anche attraverso le nuove tecnologie.
Area d’intervento: Acqua e Sanità
Nel 2002-2003, a seguito di una grande siccità – con conseguente carestia – in Etiopia, il VIS ha cominciato a lavorare nel settore idrico-sanitario, al fine di garantire alle comunità locali con cui già lavorava in ambito educativo le giuste condizioni di base per l’ampliamento delle proprie opportunità di sviluppo e la prosecuzione dell’impegno educativo: l’accesso all’acqua è considerata, in questo senso, tra le priorità.
Numerosi pozzi e punti di distribuzione d’acqua sono stati realizzati in Eritrea ed Etiopia, in diverse regioni, soprattutto nelle aree e nei villaggi più remoti.
Grazie al sostegno di donatori privati e pubblici, il VIS continua in questa opera, estendendo gli interventi non solo all’approvvigionamento idrico ma anche alla salute e all’agricoltura a conduzione familiare, realizzando latrine private e comunitarie, inceneritori, piccoli impianti di irrigazione, cisterne, ecc.
Area d’intervento: Microfinanza e Sviluppo Socio-Economico
Il forte radicamento nel territorio del VIS, ottenuto dopo un lungo periodo in cui si è lavorato al fianco della popolazione locale prevalentemente in campo educativo/formativo, consente di poter rispondere in maniera adeguata anche al bisogno delle comunità locali di migliorare le proprie condizioni socio-economiche.
In tale ambito riveste particolare importanza l’avvio di attività connesse alla Microfinanza e allo Sviluppo socio-economico di settori formali e informali.
Con il micro-credito si permettere l’accesso al credito al fine di avviare o sostenere attività produttive anche a soggetti che sarebbero esclusi dai circuiti “classici”, accompagnandoli con una formazione e un sostegno continuo nella gestione dei fondi. Tale attività non può avere efficacia senza una conoscenza approfondita della realtà locale, della vita quotidiana delle famiglie e dell’effettivo ruolo che hanno nella comunità le istituzioni pubbliche.
L’ambito di utilizzo del microcredito generalmente riguarda le produzioni agrarie, l’incremento del numero di capi di bestiame, l’acquisto di impianti per la trasformazione dei prodotti agricoli e zootecnici, la ristrutturazione e l’allestimento di immobili destinati alla produzione o al turismo, attività collegate al turismo rurale e di montagna e attività artigianali.
Altre attività di sviluppo socio-economico condotte dal VIS in diversi Paesi sono costituite dall’avvio di microimprese e dal loro sostegno; dalla creazione di Uffici Formazione-Lavoro con funzioni di orientamento e job placement; dalla creazione di imprese sociali per l’occupazione di soggetti svantaggiati; dal supporto e accompagnamento di imprese senza scopo di lucro, ma orientate alla sostenibilità dei centri di formazione attraverso attività produttive e l’erogazione di servizi.
Area d’intervento: Biodiversità
L’impegno del VIS per la tutela e la valorizzazione della Biodiversità si definisce e assume una prima e importante concretizzazione attraverso un programma di sviluppo realizzato nell’Amazzonia ecuadoriana tra il 1998 e il 2009.
Fondamento di questo programma, è guardare alla biodiversità non solo come ad un valore assoluto da preservare e salvaguardare, ma al contempo come ad una risorsa da valorizzare nell’ambito di iniziative per il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni locali (comunità indigene).
Per realizzare questo obiettivo le risorse biologiche della foresta diventano oggetto di studio (componente didattica del programma) e oggetto di trasformazione (componente produttiva). Rispetto alla prima componente sono stati organizzati corsi di livello universitario per favorire la conoscenza delle risorse, le loro proprietà e i loro utilizzi, conciliando conoscenze tradizionali e conoscenze tecnologicamente più avanzate: sono state dunque formate figure tecniche specializzate in grado di promuovere lo sviluppo delle proprie comunità con riferimento alla gestione delle risorse biologiche. Rispetto alla seconda componente, in collaborazione con la Fondazione Chankuap di Macas (Ecuador), sono state supportate le varie tappe (produzione, trasformazione e commercializzazione) di filiere agroalimentari e cosmetiche collegate alle risorse amazzoniche. Sono state così offerte opportunità lavorative, equamente retribuite, alle popolazioni dell’area di intervento favorendo al contempo la capacità riproduttiva delle risorse.
I risultati di questa iniziativa sono stati così rilevanti da determinare, nel 2007, la richiesta da parte delle federazioni indigene Achuar dell’Amazzonia del Perù di un intervento speculare nel loro territorio. Dopo due anni di studio e di fattibilità per identificare una strategia analoga ma contestualizzata ed adattata, lo scorso anno è stata avviata anche in Perù un’iniziativa in questo ambito.
Area d’intervento: Diritti Umani
Negli ultimi anni l’Unione Europea ha recepito il bisogno di individuare uno strumento per la democrazia e i diritti umani attraverso il quale erogare assistenza, nell’ambito delle politiche comunitarie di cooperazione allo sviluppo e di cooperazione economica, tecnica e finanziaria con i paesi terzi, coerente con la politica estera complessiva dell’Unione Europea, contribuendo allo sviluppo e al consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, alla tutela dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Questo strumento prende il nome di European Initiative for Democracy and Human Rights (EIDHR).
L’obiettivo è quello di favorire un maggior rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali nonché la loro osservanza, così come proclamato nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e in altri strumenti internazionali e regionali in materia.
Promuovendo e consolidando la democrazia e le riforme democratiche nei paesi terzi, principalmente mediante il sostegno alle organizzazioni della società civile, l’Unione Europea vuole:
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fornire sostegno e solidarietà ai difensori dei diritti umani e alle vittime di repressioni e maltrattamenti e rafforzare il ruolo della società civile attiva nel settore dei diritti umani e della promozione della democrazia;
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sostenere e rafforzare il contesto internazionale e regionale per la protezione, la promozione e il monitoraggio dei diritti umani, promuovere la democrazia e lo stato di diritto per rafforzare il ruolo attivo della società civile in questi contesti e per favorire la nascita di una nuova cultura di educazione ai e per i diritti umani.
I paesi nei quali in VIS ha realizzato progetti focalizzati sull’ educazione ai diritti umani e progetti cd. EIDHR sono:
Si rileva altresì che sulla scia di una nuova visione strategica affermatasi dalla fine degli anni Novanta nell’ambito della progettualità per lo sviluppo (Human rights based approach to development), il VIS ha adottato nei propri interventi l’approccio metodologico basato sui diritti umani e sull’ampliamento delle capacità e non più soltanto sui bisogni. Obiettivo fondamentale è che i diritti umani attraversino trasversalmente la progettualità del VIS.
Area d’intervento: Emergenza – Riabilitazione – Ricostruzione
Gli interventi di emergenza si caratterizzano solitamente in interventi tempestivi a favore di popolazioni colpite da un disastro naturale inatteso o dal precipitare di un evento bellico o dalle due circostanze congiunte. I tempi del progetto di emergenza sono generalmente molto ristretti: l’intervento deve essere approntato nel volgere di 24 ore, o al più in qualche giorno.
Il VIS non crede nell’efficacia di aiuti di emergenza fini a se stessi, che pur essendo indispensabili in quanto volti a salvare vite umane, se non orientati ab origine a processi di sviluppo, rischiano di rimanere sterili, insostenibili e talora permanenti. Per questo il VIS si definisce principalmente come una ONG di sviluppo e non ricerca opportunità per condurre progetti di emergenza. Eppure spesso è l’emergenza a bussare, violenta, alle porte delle comunità e delle città nelle quali operano il VIS e i Salesiani, e di fronte ad essa non è possibile chiudere gli occhi.
La storia recente, periodicamente, ci ha consegnato drammatiche responsabilità, cui abbiamo risposto con impegno e passione, dai profughi in fuga dal Kosovo devastato dalla guerra nel 1999, ai bambini orfani e agli sfollati di Goma, località della Repubblica Democratica del Congo martoriata dalla guerra dei Grandi Laghi, alle gravi carestie in Etiopia e in Eritrea, alle drammatiche conseguenze dello tsunami del 26 dicembre 2004 nel Sud-est asiatico e a quelle dei cicloni abbattutisi in Bangladesh. Più di recente abbiamo operato nelle continue crisi della Palestina e del Libano, nel post-terremoto che ha distrutto Haiti e nelle alluvioni che hanno devastato il Pakistan.
Quando è l’emergenza a bussare alle nostre porte non rispondiamo avendo unicamente l’obiettivo di rispondere ai bisogni contingenti, ma cerchiamo sempre di garantire le condizioni per la sopravvivenza e la ricostruzione affrontando contestualmente le condizioni strutturali di ingiustizia e diseguaglianza, promuovendo i diritti fondamentali, l’uguaglianza e la dignità delle persone.
4. CONCLUSIONI
Il Rettor Maggiore don Juan Vecchi, nel suo magistrale documento: «Si commosse per loro (Mc 6,34) Nuove povertà, Missione salesiana e significatività» del 1997 ci dice:
«I giovani poveri sono un dono. I giovani poveri dunque sono stati e sono ancora un dono per i salesiani. Il ritorno ad essi ci farà recuperare il tratto centrale della nostra spiritualità e della nostra prassi pedagogica: il rapporto di amicizia che crea corrispondenza e desideri di crescere.
Oggi bisogna andare di nuovo oltre le strutture stabilite, oltre le cose da dare; bisogna uscire, fare un esodo mentale e pedagogico verso il rapporto, la presenza, la condivisione.
E’ questo l’atteggiamento fondamentale con cui il sistema preventivo realizza in termini educativi la sequela.
Gesù che piantò la sua tenda tra di noi, venne a cercare e salvare chi era perduto, si mescolò con i pubblicani e si sedette a tavola con i peccatori, si avvicinò a poveri e malati e fece di questi gesti i segni della sua missione di salvezza.
Il Regno di Dio si manifesta, cresce e si realizza tra i poveri perchè consiste tutto in una relazione gratuita che Gesù stabilisce e rinnova con coloro che non credono di avere meriti né davanti alla società né davanti a Dio.
A volte siamo troppo preoccupati di quello che noi possiamo dare o di quello che ci manca per agire, fino a diventare incapaci di scoprire le ricchezze che ci sono nei giovani, che essi possono mettere a frutto, con le quali veniamo noi stessi arricchiti. Il sistema preventivo ci obbliga a svuotarci di noi stessi e accogliere i doni che il Signore ci offre, soprattutto in coloro che sono più bisognosi e all’apparenza meno degni.»
Il Papa Paolo Giovanni II ha espresso chiaramente questo passaggio parlando si giovani il 4 settembre 1988 a Torino:
“Quanto al vostro ruolo di giovani, dico semplicemente: siete indispensabili, non per quello che potete con le vostre sole forze umane, ma per quello che potete attraverso la fede nel Dio della pace che si fa cultura e impegno di pace.
Ma potrete essere ciò che gli uomini si attendono da voi, se oggi già vi decidete ad agire. Viste le situazioni, intervenite.
Il volontariato, fatto così meraviglioso del nostro tempo, è vivo tra noi.
Solo abbiate la purezza delle motivazioni che vi rende trasparenti, il respiro della speranza che vi fa costanti, l’umiltà della carità che vi rende credibili.
Oso dire che un giovane della vostra età che non dia, in una forma o in un’altra, qualche tempo prolungato al servizio degli altri, non può dirsi cristiano, tali e tante sono le domande che nascono dai fratelli e sorelle che ci circondano”.